Lo sappiamo bene, lo sappiamo tutti, prima o poi bisogna morire. In un modo o nell'altro, presto o tardi. E' l'unica certezza che abbiamo. Tutto il resto è dubbio, opinabile, relativo.
Abbiamo quest'unica certezza, eppure (per fortuna) tendiamo a dimenticarlo ogni giorno. Poi arrivano notizie come quella di Castelfidardo, con un giovane uomo morto sul colpo e un ragazzo in condizioni serie, e improvvisamente sbattiamo il muso contro l'incontrovertibile realtà.
In casi come questi diciamo che non ci sono parole. Dio mio, non trovo le parole. Confesso: non ho proprio voglia di cercarne.
Il Giro si gode il giorno di riposo. Dopo Castelfidardo, per me è un giorno di silenzio. E sinceramente mi piacerebbe che anche la carovana, magari alla partenza del gruppo da Salò, si fermasse in silenzio almeno per un minuto. Niente di eclatante, solo un gesto per dire alle due famiglie che non vivranno più la stessa vita quanto in fondo siamo tutti una famiglia, anche a chilometri di distanza. Il silenzio, davanti a tragedie come questa, vale più di tanti chiacchiericci sulle responsabilità (quelle, se ci sono, devono cercarle gli specialisti del ramo) e più di tanti necrologi a pagamento sui giornali palancai.
The show must go on, la vita continua, si sente dire ogni volta. Vero. Ma da domani, per favore. Domani.