Parla Tito Tacchella, il signor Carrera. Non è solito parlare, ma quando lop fa, non passa inosservato. Le sue parole hanno un peso, anche perché Tacchella è tipo abituato a pesare le parole, oltre che gli uomini. Si affida a Francesco Barana, che sul “Corriere Veneto” di ieri, giorno dei 18 anni dalla morte di Marco, raccoglie una bellissima testimonianza, che non mancherà di far discutere.
Tito Tacchella, 81 anni, il signor Carrera, la squadra dei Roche e dei Visentini, dei Bontempi e dei Ghirotto, di Cassani e Chiappucci: ma soprattutto di Marco Pantani, parte proprio da lui: dal Pirata. «Pantani è sempre stato un ragazzo fragile. Noi in Carrera lo proteggevamo come un figlio, dopo, quando se n’è andato, qualcuno gli ha cucito addosso un vestito che non era il suo...», dice.
Tito Tacchella si racconta e non nasconde il suo debole per Visentini «più forte anche di Roche, ma più fragile…». Il ciclismo di oggi? Troppo costoso e insostenibile per un’azienda italiana, ma pone il proprio accetto su quel contratto che ha segnato un ‘epoca. «Siamo nel 1991, fine estate, nei giorni che seguono il Mondiale vinto da Bugno – racconta al Corriere Veneto -. Pantani aveva 21 anni ed era il dilettante più forte in circolazione: voleva assolutamente venire da noi per correre con Chiappucci. Era il suo idolo, ma poco dopo i rapporti si sarebbero affievoliti per la rivalità. Pantani allora però era soprattutto un ragazzo timidissimo, con noi ha cominciato a vincere e a rivelarsi al mondo, ma rimanendo sempre se stesso. Il cambiamento vero lo ha avuto dopo... ».
Alla Mercatone Uno, che lo prese a peso d’oro. «Nel 1997 andò alla Mercatone Uno, lo riempirono di soldi, pressioni e aspettative…. La bandana, il Pirata e queste cose qui. Tutto bello, ma Pantani non era davvero preparato a recitare quel ruolo, quella visibilità extra-sportiva non era la sua. Eppoi c’era questa ricerca spasmodica di risultati eclatanti, anche quando non serviva. Se hai sette minuti di vantaggio in classifica generale sul secondo, hai già vinto, non serve stravincere andando a prenderti la tappa».
Gli Anni Novanta anni duri e difficili, racconta Tacchella. Pantani se ne lamentava, perché quei corridori che aveva sempre battuto, adesso, gli rendono la vita difficile: c’è l’Epo. Poi la tragedia sportiva di Madonna di Campiglio, prima di quella umana… «Se fosse stato ancora in Carrera, io lo avrei preso di forza e lo avrei isolato per farlo allenare in vista del Tour, che gli avrei fatto correre rabbioso come una tigre. Invece in Mercatone Uno lo hanno assecondato permettendogli di tornare a Cesenatico, in riviera romagnola tra locali notturni, vita e soprattutto amicizie discutibili. Nel mondo del ciclismo tutti sapevano che certe losche figure circondavano Pantani, ma chi doveva non lo ha aiutato. Chi gli voleva bene era la sua ragazza danese (Christina Jonsson, ndr) e Boifava, ma la ragazza qualcuno l’ha osteggiata fino a farla allontanare. Pantani è morto in una solitudine dell’anima profonda, attorno a lui e dentro di lui c’era un vuoto assurdo».