Eros Capecchi ha deciso di scendere di sella e porre fine alla sua lunga carriera da ciclista professionista. Vincitore dell’Oscar TuttoBICI GP Liquigas per Juniores nel 2004, il corridore umbro è approdato nella massima categoria del ciclismo nel 2005 proprio con la Liquigas (dopo gli inizi da stagista è stato a lungo nella formazione di patron Dal Lago, ndr) e in questi anni è sempre stato in formazioni World Tour: ha vestito - tra le altre maglie - il blu della Movistar, il celeste dell’Astana, ha fatto parte del Wolfpack di Lefevere e nelle ultime stagioni ha corso con la Bahrain.
«Ho preso la decisione di smettere molto serenamente. Fisicamente sto bene e i miei valori sono buoni ma, risalendo in bici dopo un periodo di stacco, ho capito che era giunto il momento di smettere: le motivazioni non erano più al 100%», racconta Eros raggiunto telefonicamente da tuttobiciweb a Borghetto di Tuoro sul Trasimeno dove abita.
Poi con schiettezza aggiunge: «Per tutta la mia carriera ho lavorato con passione e duramente dando sempre il 100%, avrei potuto continuare per un anno ancora, fare una stagione anche solo al 95% - 98% però non avrebbe avuto senso, non me la sento. Non sarebbe professionale da parte mia. Ecco il motivo per cui ho deciso di smettere e perché sono convinto che sia questo il momento giusto per farlo».
Apprezzato uomo squadra, Capecchi nella sua carriera si è tolto diverse soddisfazioni aiutando i suoi capitani a raggiungere traguardi importanti (il Giro 2014 di Quintana e il Giro 2016 di Nibali, solo per fare un paio di esempi, ndr) ma è stato anche capace di ritagliarsi momenti di gloria personale ottenendo un poker di vittorie tra cui spicca la Morbegno – San Pellegrino Terme, diciottesima tappa del Giro d’Italia 2011.
È più gratificante aiutare il capitano a vincere o ottenere affermazioni personali?
«Ho sempre pensato che mettersi a disposizione della squadra e gioire dei risultati del tuo capitano e del team consenta di apprezzare meglio le vittorie personali. Io ho scelto di mettermi al servizio delle squadre e dei capitani e sono felice di questa scelta».
Il momento più bello della tua carriera.
«Sarebbe facile, forse un po’ scontato, dire la vittoria di San Pellegrino. Invece dico gli ultimi diciassette anni della mia vita: indubbiamente la vittoria al Giro è importante e bella ma per me tutte le stagioni da Pro sono state belle. Ho avuto la fortuna di realizzare il sogno che avevo da giovane, sono diventato un corridore professionista e per tutta la carriera sono rimasto in squadre WorldTour. Se ci pensi rimanere ad alti livelli per tanti anni non è facile, in nessuno sport, e nel ciclismo ancora meno. Tutti questi anni sono stati il più bel momento della carriera».
Il momento più difficile.
«Mi reputo fortunato, fisicamente non ho mai avuto grossi problemi. Non posso dire di avere avuto momenti particolarmente difficili, certo qualche delusione ogni tanto è capitata ma io non mi lascio abbattere, riesco sempre a mettermi tutto alle spalle e torno a sorridere in fretta».
Quali cambiamenti ha subito il ciclismo in questi anni?
«Rispetto ai miei inizi il ciclismo di oggi è cambiato molto. Si è modificato il modo di correre perché i ritmi sono cambiati: oramai si parte subito “a tutta”, chi va in fuga va forte, il gruppo va forte per non lasciare troppi minuti alla fuga e così capita di fare delle corse tutte pancia a terra. In pochi anni il livello si è alzato tantissimo, i giovani arrivano tra i Professionisti già pronti e la sfrontatezza dei vent’anni gli consente di mettersi in mostra già da subito».
L’esperienza e la sensibilità maturata in tante stagioni di professionismo consentono a Capecchi di continuare l’analisi sul cambiamento del ciclismo proponendoci una riflessione: «Il ciclismo attuale corre e non aspetta, è diventato più logorante fisicamente e mentalmente. Credo che non sarà più possibile fare delle lunghe carriere. Tra i Pro attualmente non c’è molto tempo per fare esperienza e crescere, i giovani che hanno la possibilità di mettersi in mostra devono farlo, come si dice: “devono battere il ferro quando è caldo”».
Tornando alla tua carriera, c’è qualcuno che vuoi ringraziare in particolare?
«Tutti. Il mio grazie va a tutte le persone che ho incontrato fin da giovane nella grande famiglia del ciclismo: colleghi, compagni, team manager, tecnici, meccanici, massaggiatori, tutte le persone degli staff; insomma proprio tutti. Vorrei anche mandare un grosso abbraccio a tutti i tifosi e ringraziarli per l’affetto che mi hanno sempre dimostrato e mi stanno dimostrando in questi giorni».
Finora abbiamo parlato del Capecchi ciclista, ma ora che hai deciso di smettere con le corse, cosa farai?
«Sono già impegnato nel gestire l’azienda che ho assieme alla mia famiglia: il nostro vivaio. C’è tanto da fare e io lo faccio con piacere. Mi piace stare nella natura, tra le nostre piante. Amo la tranquillità della mia terra».
E il ciclismo?
«È stato il mio mondo per tanto tempo, se ci fosse la possibilità sarebbe bello rimanere nell’ambiente per aiutare i giovani. Mi piacerebbe dare loro consigli, trasmettere la mia esperienza. Mi sento portato per questo. Vedremo».
Piante e giovani dopotutto hanno – almeno – una cosa in comune: per crescere bene hanno bisogno delle attenzioni di gente esperta e appassionata, proprio come Eros Capecchi.