Il 2020 è un anno che sicuramente ci ricorderemo, il bilancio è tristemente influenzato da una pandemia che ci ha fatto abituare alle cose brutte piuttosto che a quelle belle. Eppure in questa annata così strana ed unica c’è chi come Andrea Pasqualon che non vuole proprio rinunciare al sorriso. La sua stagione era iniziata nel peggiore dei modi con l’esclusione della sua Circus Wanty Gobert dal Tour De France, una cocente delusione a cui era difficile rimediare; poi però è arrivata la pandemia, uno stravolgimento totale che ha portato ad uno dei più bei finali a sorpresa che si potessero immaginare: l’acquisto della licenza dalla CCC e l’approdo nel World Tour.
La notizia è arrivata durante la Campagna del Nord, un Natale in anticipo che ha mandato in visibilio tutta la squadra. «Quando me lo hanno comunicato non volevo crederci - racconta Pasqualon a tuttobiciweb - per la gioia e l’emozione sono scoppiato a piangere, dopo 10 anni da professionista riuscire a realizzare questo sogno è qualcosa di magico».
L’emozione per il trentaduenne veneto è stata tanta, ma lo è ancora nel ricordare quel momento, un traguardo che ha raggiunto con non poche difficolta. La sua storia infatti ha avuto più asperità di quanto si sarebbe aspettato: dopo tre anni nella Colnago e nella Bardiani Csf, nel 2014 si è trovato senza contratto, poi l’approdo in due formazioni Continental (Area Zero prima e Team Roth poi, ndr) e il rischio sempre più grande di vedersi costretto a smettere. Poi cinque anni fa l’incontro con la Circus Wanty, una squadra giovane che ha creduto in lui: insieme sono cresciuti, ponderando le loro scelte, senza salti di categoria avventati, evolvendosi poco per volta. Con il tempo, tra mille difficoltà e mille sfide, la squadra belga ha finito con il diventare per Pasqualon una vera e propria famiglia. «Alla Wanty devo veramente tanto, con loro ho partecipato a tre Tour, ho fatto le classiche, sono cresciuto come corridore e loro sono cresciuti con me. Il team manager è ormai un amico, vivere ora questa nuova avventura insieme è ancora più bello, penso che averlo fatto con un’altra squadra non sarebbe stato altretanto magico».
L’approdo nel World Tour significa tante cose, il salto di categoria, maggior prestigio, ma soprattutto la possibilità di partecipare a quella corsa che Pasqualon ha sognato fin da bambino: il Giro d’Italia. Uno dei suoi primi ricordi è proprio legato alla corsa rosa, ad un pomeriggio in particolare, in cui la carovana passava da Enego, il suo paese.
«Quel giorno si correva da Asiago a Selva Val Gardena: Bruno Boscardin, all’epoca ciclista professionista e mio compaesano, si è avvantaggiato per fermarsi a salutare tutti quanti, poi subito dopo è arrivato il gruppo. Ho visto Pantani in maglia rosa, è stata questione di un attimo, ma mi è bastato per capire che quella era la strada che volevo seguire».
Un vero e proprio colpo di fulmine quello per Andrea Pasqualon che per 10 anni, da quando è passato professionista, ha cullato questo sogno militando tra Professional e Continental senza mai arrendersi. Finalmente il prossimo anno potrà realizzare quel sogno.
È lunga però la strada verso il Giro, suo grande obiettivo del 2021, a cui si aggiungono anche gli appuntamenti con le classiche del nord e la speranza di ottenere una convocazione per i mondiali in Belgio. Un anno decisivo che Andrea Pasqualon sta già preparando a Girona prima di partire per il ritiro con la squadra, previsto a Calpe nel mese di gennaio. Questo Natale sarà diverso anche per lui, lo passerà solo con la figlia e la compagna, per la prima volta senza tornare in Italia dalla sua famiglia. Una scelta difficile, molto sofferta, condizionata dalla pandemia ma soprattutto dal pensiero di puntare tutto sul ciclismo senza dedicarsi ad altro in vista di una stagione che per lui sarà un banco di prova fondamentale.
IL REGALO DI NATALE.
È strano sentire una storia così emozionante proprio nell’anno in cui di storie belle credevamo che non ce ne fossero più, la pandemia sembrava averle cancellate e invece proprio a causa di essa è arrivato un lieto fine che sa tanto di magia. Quando chiediamo ad Andrea se rifarebbe tutto quello che ha passato in questi 10 anni, ci risponde diretto, un sì deciso che nasconde la consapevolezza di aver quasi toccato il fondo, ma di non essersi mai arreso. Gli anni nelle formazioni Continental lo hanno formato, anche quelle piccole squadre che lo hanno accolto sono in realtà passi fondamentali in quel viaggio che lo ha portato sempre più vicino al suo sogno.
«Quello che è successo quest’anno mi ha insegnato una cosa grandissima: se una persona ci crede veramente, nulla è impossibile, testa e corpo sono collegati. Se ci mettiamo amore, passione, dedizione e sacrificio tutti possiamo raggiungere ciò che vogliamo - ci dice infine Andrea -: il mio regalo di Natale io lo avuto un po’ in anticipo, ma ora quello che chiedo è tornare alla normalità, con la possibilità di vederci sorridere senza mascherine e con il pubblico sulle strade che ci dà la carica. Se oggi sono un professionista e mi sto allenando con la speranza di poter partecipare al Giro è solo perché tanti anni fa, da bambino, da semplice spettatore sono rimasto affascinato da quei ragazzi che correvano in bicicletta».
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