Nove mesi per rinascere, dopo aver sentito scorrere nelle proprie vene la morte, il dolore e la paura di aver compiuto il 5 agosto scorso qualcosa di enormemente grave. Dylan Groenewegen non dimenticherà mai quella folle volata a Katowice, sulle strade del Giro di Polonia. Nove mesi per rinascere. Nove mesi per tornare ad essere un corridore. La data: sabato 8 maggio 2021. Secondo il calendario già diramato dall’Uci è la data della tappa inaugurale del Giro d’Italia. Sulla carta potrebbe essere quella la prima occasione del ritorno alle competizioni per il 27enne velocista olandese della Jumbo-Visma.
Ho sempre considerato quella manovra sul filo degli 80 chilometri orari semplicemente scellerata. Ho scritto immediatamente che il corridore olandese andava pesantemente sanzionato, nonostante di lì a poco siano poi scesi in campo fior di ex velocisti a ricordare che le volate sono volate. Che un velocista non è una mammoletta o, come Silvio Martinello, puntando l’indice sugli organizzatori polacchi.
Io resto dell’avviso che Groenewegen ha fatto qualcosa di mostruosamente grave. L’ha fatto con colpevole baldanza e superficialità. Detto questo, la penso come Martinello: anche l’amico Czeslaw Lang, in questa circostanza, ha sbagliato. Transenne non sicure, cartelloni pubblicitari non fissati adeguatamente, cose che l’Uci avrebbe dovuto vedere e valutare con altrettanto rigore.
Tolti i casi di doping, Gronewegen ha subìto la sanzione disciplinare più pesante di sempre. L’olandese non si è mai nascosto dietro un dito, come del resto il suo team che l’ha immediatamente sospeso dall’attività in via precauzionale. «Sarà per sempre una pagina nera nella mia carriera - ha detto il velocista forte di 53 successi in carriera, tra cui 4 tappe al Tour -. Durante quello sprint, avevo deviato dalla mia traiettoria e ne sono dispiaciuto, perché io voglio essere un ciclista corretto».
In seguito a quella manovra Jakobsen era finito in coma farmacologico, riportando diversi traumi alla testa, 130 punti di sutura e la ricostruzione totale della mascella (era rimasto con un solo dente e una corda vocale paralizzata): se tutto andrà come ci si augura, potrebbe tornare a correre tra marzo e aprile del prossimo anno.
Prendo in prestito le parole di Daniele Bennati, uno che di volate se ne intende e che, al pari di Martinello, ha spostato la luce anche sugli organizzatori e quelle dannatissime transenne. «Se ci fossero state quelle in uso al Giro d’Italia, che sono le più sicure al mondo, Jakobsen sarebbe rimbalzato. Invece quelle polacche si sono aperte completamente, non erano legate tra di loro. E i tabelloni pubblicitari sono volati via come coriandoli».
Bene, nei confronti degli organizzatori polacchi l’Uci non ha mosso dito, non ha proferito verbo, nessuno ha detto “beh”. Niente di niente. Per i solerti giudici nemmeno due righe a margine. Se quelle dannatissime transenne si sono troppo facilmente aperte, l’Uci con altrettanta velocità ha chiuso tutto. Anche loro, come Groenewegen, velocissimi e superficiali.
La copertina parla di un Oscar assegnato, ma non ancora conferito. Per la prima volta nella storia, in questo anno tribolato e complesso siamo costretti, nostro malgrado, a spostare più in là la cena di gala, che potrebbe anche essere un pranzo, ma certamente - questo è ciò che vorrei - sarà una festa in presenza. Vorrei che fosse motivo e momento di ripartenza, per festeggiare gli Oscar, il ciclismo e noi stessi che abbiamo incominciato la nostra storia nel maggio del 1995, quindi ben 25 anni fa e che nel 2021 festeggeremo i venticinque anni di Prima Pagina Edizioni, che significa quindi autonomia e indipendenza di tre amici che un bel giorno decisero di mettersi in gioco e il gioco l’hanno portato avanti da soli per cinque lustri: io con Beatrice Ajraghi - per tutti Bibi - e il mio e ormai anche vostro Paolo Broggi. Due soci, due amici che non hanno mai mancato di darmi il loro appoggio, pieno e totale. Di questo li ringrazio pubblicamente. Come ringrazio Angelo Costa e Cristiano Gatti, due amici di rara sensibilità e di riconosciute capacità. La famiglia Rodella con Silvana e Silvano, ma anche con Paolo e Fabio, da sempre famiglia, amici e anche qualcosa di più. Grazie ai dottori Enrico e Umberto Ceriani, così come a Marina Bello: tutte persone che fan di conto, senza mai dare i numeri. Grazie a gente che è sempre stata molto “obiettiva” come Roberto e Luca Bettini e i loro ragazzi, Ilario Biondi e Dario Belingheri. Grazie a quel gran creativo di Pier Maulini, così come ad alcune colonne portanti e importanti che di nome fanno Gian Paolo Ormezzano e Gian Paolo Porreca, Giuseppe Figini e Marco Pastonesi. Grazie anche e soprattutto ad una redazione giovane, preziosa e appassionata guidata dalla nostra Giulia De Maio, spalleggiata da Emanuela La Torre e Danilo Viganò, dai preziosi Pietro Illarietti e Giorgio Perugini, Carlo Malvestio e Mariangela Codenotti, Giorgia Monguzzi e Francesca Monzone, Francesca Cazzaniga e Niccolò Vallone, senza dimenticare Luca Galimberti, Valerio Zeccato e l’uomo dell’est, Diego Barbera. Una bella e nutrita famiglia, fatta di tante professionalità e molti caratteri.
Quando fui chiamato da un piccolo editore venticinque anni fa per dare forma ad un nuovo mensile di ciclismo che prese il nome di tuttoBICI non pensavo assolutamente che dopo soli diciannove mesi saremmo stati in grado di rilevarlo, per farlo nostro. Da giornalisti a editori il passo è stato breve. Un passo segnato da cinque persone, che non mi hanno mai fatto mancare il loro incondizionato apporto: Adriana Spazzoli e Giorgio Squinzi, Alcide Cerato e la famiglia Colnago, così come quella dei De Rosa. A loro e a quanti hanno creduto in noi in tutti questi anni, a voi tutti che non avete mai smesso di seguirci con passione, va il mio - e il nostro - più sincero ringraziamento.
Editoriale, da tuttoBICI di dicembre