Non sappiamo ancora come il Giro finirà, se finirà, dove finirà. Ma a Monselice io vedo e ascolto un tizio che da parte sua l'ha già vinto, a mani basse, per distacco, una spanna su tutti. Mi tolgo il cappello e solennemente applaudo, invitando tutti quanti a una standing-ovation: signor Fabrizio Guidi, grazie e complimenti per la prova magistrale di coraggio e di lealtà.
Non è così frequente trovare uomini a schiena dritta, al Giro e non solo al Giro. Non è facile perchè in questo sporco mondo conviene strisciare, giocando abilmente di calcolo e opportunismo, servendo qualcosa o qualcuno, a testa bassa, senza alzare mai il ditino. Gli scaltri della vita chiamano questa tecnica esistenziale “saper stare al mondo”, nella variante “fatti furbo”. Lo insegnano anche ai loro figli, subito, prima ancora delle elementari.
Evidentemente, Fabrizio Guidi è sfuggito a questa educazione ruffiana e pidocchia, preferendo imboccare la strada scomoda e tortuosa della verità, che porta un certo genere di uomini a usare la propria testa, a seguire la propria coscienza, a stabilire certe priorità.
Non credo che nemmeno Fabrizio sia santo ed eroe, perchè siamo tutti peccatori. Ma davanti a una grana per niente simpatica, che mette di fronte a muso duro la sua squadra (Education First, tutto un programma) e il Giro d'Italia, senza badare tanto a calcoli e convenienze imbocca subito la direzione della sincerità e del coraggio. Cioè la direzione che potrebbe terminare, là in fondo, persino con un siluramento, o comunque con i pugni sul tavolo dei datori di lavoro.
Non c'è bisogno di riassunti troppo prolissi, più o meno sappiamo com'è la questione: la squadra scrive una lettera ai potenti del ciclismo chiedendo in sostanza di chiudere qui il Giro, per mancanza di sicurezza. Naturalmente, lo stile è quello che prevede chi sa stare al mondo: alle spalle, di nascosto, scavalcando il Giro stesso. Ed è subito fungo atomico.
In questo simpatico clima da guerra mondiale, con Uci e Federazione italiana schieratissime dalla parte di Vegni e del suo disperato tentativo di portare il Giro fino a Milano, a suon di tamponi, in questo simpatico clima un manager italiano della squadra ammutinata, nove su dieci, troverebbe comodo accucciarsi in ultima fila, travestirsi da pianta grassa e magari tuffarsi in un barile, così da sguazzarci come un pesce in.
Non Guidi. Incredibile a dirsi e a vedersi, il manager italiano di una squadra ammutinata non corre a nascondersi, non si volatilizza nella boscaglia, ma anzi viene in prima fila e dice per filo e per segno quello che pensa, chiaramente, senza acrobatici giri di parole, senza rumore di unghie sullo specchio: “La mia squadra ha avuto troppa fretta. Il Giro sta facendo tanti sforzi e non merita di essere martellato a questo modo. Hanno ragioni i colleghi a risentirsi. Io al Giro devo tutto e sono qui per finirlo. Dobbiamo abbassare i toni e continuare per il bene del ciclismo”. Eccetera, eccetera.
Non aggiungo molto di più. Stringo idealmente la mano a un uomo, nel vero senso della parola, e sinceramente lo ammiro. Può darsi che mentre io scrivo queste cose l'abbiano già spianato pancia in giù sul cofano dell'ammiraglia e a turno i vertici del suo team lo stiano frustando con il gatto a nove code. Al momento non risulta ufficialmente. La mia speranza è anzi che dopo averla fatta fuori dal vaso quegli stessi vertici imparino ad apprezzare la grande fortuna che si ritrovano, cioè una guida tecnica e morale così speciale. Dall'aria che tira, da come va il mondo, temo invece che come minimo Fabrizio Guidi vada incontro a qualche grana aziendale, per usare un eufemismo. D'altra parte, queste cose si sanno già in partenza, quando si scelgono certe mosse.
Eppure Fabrizio Guidi non ha fatto una piega e ha tirato dritto, mettendoci la faccia fino in fondo, senza stare troppo a pesare le conseguenze.
Il Giro d'Italia, tutto il popolo del Giro d'Italia, non vede l'ora di applaudire il vincitore finale della corsa. Ma nel momento delle acclamazioni io non dimenticherei neppure questo stravagante vincitore di una classifica prestigiosa, dopo tutto la più prestigiosa, proibita a molti: la speciale classifica dignità.