Si chiama Milano-Sanremo, ma con le centodieci edizioni che l’hanno preceduta c’entra poco. Niente Turchino col suo sbuffo di primavera arrivando dalla pianura al mare, niente capo Mele, niente capo Berta, niente capo Cervo, niente Liguria col vento che non si mai da che parte soffi. Niente tradizione, insomma. Scelta obbligata dopo il no dei sindaci del Savonese, più preoccupati dei problemi di traffico causati dal ciclismo d’agosto che di mostrare in mondovisione le loro spiagge. Cambiano le strade, passando da Alessandria e Fossano per tuffarsi su Imperia dal Colle di Nava, cambiano i chilometri, 299 al posto dei tradizionali 291, cambia l’orario, perché si arriverà all’ora dell’aperitivo, cambia ovviamente il clima, perché un conto è correre con l’incertezza del meteo e un altro con la certezza di un termometro sopra i trenta. C’era una volta quella che i francesi chiamavano Primavera, perché era anche la prima-vera classica dell’anno: questa sarà diversa persino nelle previsioni, perché ci si arriva senza l’adeguata rincorsa di qualche gara nelle gambe. Ecco le dieci facce (più una) che si candidano a rendere la Classicissima più simile a quelle che l’hanno preceduta.
Julian Alaphilippe. Vince perché l’ha fatto un anno fa, perché il nuovo percorso gli sta bene come il vecchio, perché dopo la Strade Bianche è in credito con la fortuna. Non vince perché un finale meno agitato risparmierà le gambe a chi è più veloce.
Sam Bennett. Vince perché sa esser veloce anche dopo lunghe distanze, perché è una delle armi strategiche di una squadra super, perché vuole finalmente entrare in un albo d’oro che conta. Non vince perché con sei uomini per team sarà dura tener bloccata la corsa.
Alberto Bettiol. Vince perché sta bene di salute e di morale, perché è convinto di poter fare la differenza su Cipressa e Poggio, perché ha il coraggio di osare. Non vince perché c’è un finale meno duro del Fiandre per poter fare la differenza.
Sonny Colbrelli. Vince perché si è ripresentato alla grande, perché è un uomo veloce che non teme né gli strappi né le distanze, perché meriterebbe un successo pesante. Non vince perché anche nelle giornate migliori qualcosa gli va sempre storto.
Arnaud Demare. Vince perché sa come si fa, perché è carico a palla, perché vuol cancellare il sospetto di aver vinto quattro anni fa dopo esser stato ‘aiutato’ dalle auto. Non vince perché in questa gara essere più favoriti di altri non aiuta.
Fernando Gaviria. Vince perché c’è già andato vicino, perché è andato a segno sia prima che dopo il lungo stop per il virus, perché ha una squadra tutta per sé. Non vince perché alla Sanremo spesso la fortuna con lui si volta dall’altra parte.
Michal Kwiatkowski. Vince perché è una corsa che sembra disegnata per lui, perché come Nibali non ha il peso di doverla vincere essendoci già riuscito, perché è ripartito forte. Non vince perché la corsa non sarà abbastanza dura come piace a lui.
Peter Sagan. Vince perché è la classica che insegue da più tempo, perchè ha tutto per riuscirci, perché in nove edizioni è finito cinque volte nei primi quattro. Non vince perché ha pensato più ai grandi giri che all’unica classica adatta a lui in agosto.
Matteo Trentin. Vince perché è adattissimo al tracciato, perchè è all’altezza di grandi specialisti delle classiche come il compagno Van Avermaet, perché può giocarsela sia da lontano che in uno sprint ristretto. Non vince perché in Riviera trova sempre qualcuno che gli rovina la giornata.
Elia Viviani. Vince perché è maturo per farlo, perché la quarantena gli ha solo allungato una rincorsa iniziata in inverno, perché il nuovo percorso gli semplifica le cose. Non vince perché correre con una squadra nuova presenta sempre qualche incognita.
p. s. Philippe Gilbert. Vince perché è quello che l’ha corsa più di tutti (15 disputate, tutte concluse), perché l’ha sfiorata in più occasioni, perché vuole a tutti i costi la classica monumento che gli manca. Non vince perché a 38 anni ripartire è dura.
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