ARU, I SOGNI DEL CAVALIERE

PROFESSIONISTI | 31/01/2018 | 07:00
Cambia maglia, ma non cambia pelle, Fabio. Combattente è e combattente re­sta. Quella del Cavaliere dei Quattro Mori ormai è una “griffe” del ciclismo made in Italy nel mondo.

Cambia maglia, Fabio. UAE Emirates di Beppe Saronni è una squadra Stato (rappresenta sette emirati della Pe­nisola Araba, ndr), ma il sardo ha sul cuore una striscia tricolore, quella del nostro Paese, da portare in giro per il mondo.

Forse la maglia tricolore classica era più bella…
«Da italiano è chiaro che ti dico di sì, ma è anche vero che sono in un team che rappresenta uno Stato, e abbiamo cercato di trovare un giusto compromesso che poi è anche un buon punto d’incontro».

Eri forse più visibile.
«Farò di tutto per farmi vedere ancora di più e ancora meglio. Questo è il vero augurio che mi faccio».

Un tricolore e una maglia gialla, questi i colori del tuo 2017.
«È stato un anno molto difficile e complicato, dove però ho dimostrato, non solo a me stesso, che si può lottare sem­pre e comunque. Prima una bronchite alla Tirreno-Adriatico.  Poi il 2 aprile la caduta nel ritiro di Sierra Ne­vada. Un incidente apparentemente ba­nale, che si è invece rivelato molto più brutto di quanto si potesse pensare in un primo momento. Il Giro che era nei miei programmi, svanisce in un colpo. Avevo fatto di tutto per farmi trovare pronto al via dalla mia Sar­degna, invece… Morale a terra, e sogni svaniti. E come se non bastasse o fosse già sufficiente, ecco che venti giorni dopo arriva l’improvvisa quanto assurda morte di Michele Scarponi. Credimi, il ricordo di Michele mi ha dato la forza di rialzarmi. Mi sono detto: quello che è successo a me non è nulla, tutto è rimediabile. Basta lamenti, basta frustrazioni: ho voltato pagina e ho cercato di dare tutto me stesso per recuperare il terreno perso e disputare una buona stagione, anche se non era assolutamente facile, né semplice».

Il titolo italiano è stato come una sorta di rinascita.
«Erano tre mesi che non correvo. Quel giorno ho davvero provato sensazioni uniche. Ci voleva proprio, dopo tanta amarezza, tanto dolore, tanto sconforto. È stata davvero una liberazione».

Poi la maglia gialla.
«La vittoria a La Planche des Belles Filles è stata qualcosa di eccezionale, ma non chiedermi però dove io abbia provato emozioni più grandi. Tricolore e Tour: due momenti diversi, distinti e distanti, ma ugualmente inebrianti e carichi di significato. Li tengo entrambi lì, nella parte più riservata del mio cuo­re».

Adesso, però, c’è un Aru nuovo di zecca.
«È il primo cambio di maglia da quando sono corridore professionista. Io all’Astana devo molto. Cinque anni fa mi ha consentito di realizzare il sogno che cullavo fin da ragazzo: passare professionista. Però dentro di me lo scorso anno ho sentito chiara l’esigenza di cambiare, di fare nuove esperienze. Non perché non mi sentissi più bene, ma perché sentivo la necessità di dare una scossa. Dopo due podi al Giro e una vittoria alla Vuelta, era arrivato il momento di voltare pagina. Di rimettersi nuovamente in gioco. Au­men­te­ranno le responsabilità? Chiaro, ma anche gli stimoli. Se hai paura di ri­schiare, non vai da nessuna parte. Non sei un corridore, ma un impiegato. E io sono nato per fare il corridore».

Vinokourov non l’ha presa benissimo.
«È stato un grandissimo corridore, sa come girano certe cose. Io penso invece che abbia capito perfettamente il mio punto di vista e il perché della mia scelta».

Felice Beppe Saronni, che in un’intervista alla Gazzetta dello Sport ti ha esortato a correre di più, anche nelle corse in linea, perché tu hai la capacità di entusiasmare le folle.
«So come la pensa “il capo” e mi fa molto piacere che dica queste cose sul sottoscritto. Io non sono uno che dà mai nulla per scontato e difficilmente si arrende prima di essere abbattuto. Io lotto sempre, fino alla fine, fa parte del mio DNA».

Facciamo un passo indietro: vacanze?
«Sono stato senza bici per un mese esatto. Alle Maldive con Valentina dall’1 all’11 novembre. Il giorno dopo ero già in bicicletta. Prima delle Mal­dive una settimana scarsa in Sar­degna, dai miei».

Natale?
«A casa dei genitori di Valentina: quest’an­no toccava a loro. Capodanno con i miei a Villaci­dro».

Mi sembri già bello tirato...
«Sai che non sgarro, io sono fatto a mo­do mio. Rispetto all’anno scorso, ai primi di dicembre, al primo ritiro stagionale (Siracusa, dal 5 al 17 dicembre, ndr) ero due chili più leggero».

Hai cambiato qualcosa nella preparazione invernale rispetto al passato?
«Quest’anno ho inserito la piscina. Al­me­no due volte a settimana andavo a nuotare. Per il resto sempre il solito copione: molta palestra, un po’ di camminate e anche un po’ di bici, sia da strada che mtb. Con il primo raduno di Siracusa, abbiamo cominciato a fare sul serio».

Il campionato italiano ti ha lasciato una maglia tricolore che fa curriculum, la ma­glia gialla cosa ti ha lasciato?
«Una bellissima sensazione, e poi una popolarità che non avrei mai immaginato. Tutti sanno quanto mi stia a cuore il Giro, ma in Francia pedali in un’altra dimensione. Sono tornato dal Tour con un’altra considerazione e un’alta re­putazione. Non hai idea di quante persone mi scrivono dopo la Grande Boucle: una cosa pazzesca».

Cosa ti è mancato nell’ultima settimana del Tour?
«Solo un pizzico di fortuna. Sui Pirenei ho preso freddo. Nel dopocorsa ho for­se commesso l’errore di non essermi co­perto come avrei dovuto. Avevo la testa scoperta, cosa che mi capita di rado. Sono stato troppo nella mixer zone con i capelli bagnati: è stato fatale. La bronchite mi ha condizionato e mi ha tolto qualcosa, anche se alla fine ho portato a casa un buon piazzamento, che fa curriculum».

Ti piace la tua nuova squadra?
«Molto, anche perché siamo decisamente forti e attrezzati. Un bel mix di esperienza e giovani talenti. C’è di tutto».

Hai già il tuo gruppo di lavoro?
«Lo stiamo facendo. Per adesso ci siamo conosciuti, abbiamo fatto gruppo, anche se i ragazzi li conoscevo già e anche bene. Diego (Ulissi, ndr) è un amico già da anni. Siamo vicini di casa a Lugano e ci alleniamo spesso assieme. Adesso condivideremo anche tante corse».

Poi ci sarà anche Paolo Tiralongo.
«È dal 2011 che ci conosciamo: io ero ancora un dilettante. Lui mi seguirà nella preparazione, farà parte dello staff degli allenatori. Sarà anche il mio osservatore, il mio punto di riferimento e nei vari trainingcamp che andremo a sostenere ci sarà lui».

Esordio stagionale?
«All’Abu Dhabi Tour, ormai ci siamo».

La Tirreno?
«Assolutamente sì. Non so invece se disputerò la Sanremo. Però mi piacerebbe fare il mio esordio alla Liegi. E poi c’è anche il “Tour of the Alps” che ha una tappa che si snoderà sul tracciato iridato: sarà importante esserci».

Cosa pensi degli auricolari?
«Potrei anche farne a meno, ma sono in­negabilmente molto utili per questioni di sicurezza».

E dei misuratori di potenza?
«Fondamentali per allenarsi, se li bandissero dalle corse mi andrebbe be­ne».

Non pensi che ci sia qualcosa da rivedere anche nell’assegnazione dei punteggi?
«I corridori da Grandi Giri sono penalizzati, credo che l’Uci ci debba mettere mano: ormai è chiaro».

Pensi a Innsbruck, ma ci pensa anche Ni­bali: sarà un problema?
«La nostra convivenza doveva essere un problema all’Astana, e poi anche in azzurro per le Olimpiadi di Rio, e tutti hanno visto. Penso che se io e Enzo ar­riveremo al top della condizione per la sfida iridata, i problemi saranno più per gli altri che per noi».

Posso farti una domanda personalissima?
«Certo che sì».

Quando sposerai Valentina?
«Dovrei prima parlarne con lei, quindi aspetta…».

Sogno nel cassetto?
«Tanti, ma sai perfettamente che io non amo esplicitarli. Diciamo che ti do appuntamento all’Oscar tuttoBICI 2018. Se sarò capace di rivincerlo (se l’è aggiudicato nel 2015, ndr), significherebbe che la stagione è andata in un certo modo, e io farò di tutto per fare in modo che vada come dico io».

Quindi ti aspetto…

«Sai che mi piace arrivare sempre pri­ma, in questo caso primo. Quindi, aspet­tami tu».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di gennaio
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