Uno sport che s'offre
di Gian Paolo Ormezzano
A fine vacanze telefoni per automatico fisiologico riallacciamento di rapporti diretti ad un vecchio grosso amico giornalista, un teleprincipe del ciclismo ormai per competenza e amore al suo sport (Beppe Conti, tanto per far nomi), e lui ti dice che sta a Pontedilegno per una pedalata a ricordare uno che manca tanto al mondo della bicicletta, Tarcisio Persegona, parmense, pedalatore mentore del primo Massignan in onore del quale ha scalato il Gavia cinquecentocinquanta (massì, 550) volte, industriale multiforme e generosissimo (sua, economicamente parlando, una bella fetta del monumento torinese a Fausto Coppi). Ci sono tutti, gli ex campioni e anche gli ex non campioni, a fare il Gavia una volta ancora, a sfidare la montagna tremenda su cui Massignan si rivelò.
Grazie per lo spunto. Il ciclismo da sempre frequenta anche così i propri suoi vertici, figurati e no, e offre, a chi se le merita, tante occasioni, situazioni, avventure come questa del Gavia. Ce ne sono moltissime, ne ricordiamo una per tutte, anche se è scomparso il suo diciamo gran capo: lo Stelvio annualmente scalato da Giorgio Squinzi buonanima, industrialone lui pure (Mapei: dice qualcosa?) con amici co-pedalanti fra i quali due Franceschi illustrissimi assai, Conconi e Moser. Il fatto è che il ciclismo ama avvitarsi, sentimentalmente e anche fisicamente, su se stesso, sui racconti delle gesta dei suoi ma anche sui posti celebri, storici, in genere le grandi palestre montane. E più c’è da soffrire meglio è, al punto che ci viene da scomodare il grande Bergonzoni e i suoi magheggi con le parole: soffrire ma anche s’offrire, insomma offrire a se stessi la fatica, infliggersela insomma in uno dei più duri e intanto poetici esercizi di nobile masochismo.
Il ciclista soffre e intanto -ci allarghiamo - si offre a se stesso ergo alla sua in genere buona anzi ottima gente per tutta una serie di esercizi sentimentali: il fruitore di questo comprende ammira applaude spartisce (sentimentalmente) la sofferenza e si sente migliore, specie se si accorge di dare troppo di sé ad altri sport sicuramente più eleganti, più ricchi, e persino profumati.
Il ciclista è campione comodo, nutriente in maniera sana il popolo, massì il popolo. Anche se grandissimo, e magari proprio perché grandissimo, il ciclismo alto è evangelico, utile al prossimo inteso come tifoso, amico e non solo. Pensando bene del ciclismo, seguendolo con affetto e magari pure con amore, comunque parlando bene dei ciclisti sofferenti sui tanti Gavia di questo sport, ci facciamo una sorta di shampoo alle coscienze, alle teste intese per quel che c’è dentro, non per quel che c’è sopra la calotta cranica. Quando diamo attenzione ad altri pur meritevolissimi campioni di altri sport pensiamo anche se non soprattutto ai loro soldi, alla loro conquista di notorietà planetaria praticando magari discipline divertenti, senza puzze eccessive di sudore e altro che inquina, belle pulite, igienisticamente asettiche, e magari pure eleganti. E a proposito di soldi, come mai non si parla di cosa guadagna (o non guadagna, ecco il punto) un ciclista? Voglia di non saperlo, per non doversi sdegnare obbligatoriamente di altri guadagni?
Produrre e offrire sofferenza di massa, anonima, come sul Gavia, sofferenza vien da dire di gregge, per omaggiare la sofferenza gloriosa di un campione, è abbastanza tipico del ciclismo. Nel calcio le partite in memoria di, in ricordo del, omaggiando il spesso sono pretesti per fare altri soldi, e talora degenerano: o nella recitazione comoda, facile di qualche sfida che non sia troppo faticosa, o nell’isterismo dissotterrando vecchie asce di guerra (ricordando che, rammentando il, evocando la). In altri sport ci sono difficoltà di commemorazione obiettive. Cosa si organizza per ricordare un campione di boxe? Una scazzottatura di massa? E se si tratta di un campione automobilista si corrono e si fanno correre dei rischi per ricordare la sua spavalda bravura? Nello sci alpino si organizza una discesa frenetica di massa o un popolatissimo slalom ballerinesco su una pista di danza in pendenza? Lo sci nordico sì, si presta ad una marcialongata di popolo, e infatti si fanno cose così, e c’è un legame abbastanza stretto fra i fondisti e i ciclisti, campioni e popoli.
Lo spunto è dunque bene allargabile, e speriamo di averlo sin qui fatto lievitare onestamente e chiaramente. Lo sviluppo del tema è comunque vasto, di certo altri sport possono in qualche loro modo specifico accostarsi alle usanze del ciclismo, e ci vengono in mente al volo i motoraduni di centauri. Ma resta il serio gioco di parole fra quel ”soffre” e “s’offre” che è molto ma molto ciclistoso.