Salvoldi, l'uomo che sa

di Giulia De Maio

Il CT dei record ha perso il conto delle medaglie vinte in carriera. Co­me possiamo dargli torto? So­no oltre 210 tra Mondiali, Olim­pia­di, Europei, Coppe del mondo di strada e pista. Eravamo a 207 a fine 2017 e in questa stagione dalle junior alle elite se ne sono messe al col­lo numerose altre. E alle loro spalle, in cabina di regia, c’è sempre lui. Nessun commissario tecnico ha mai vinto quanto Edoardo Salvoldi. A fine anno come d’abitudine aggiornerà il suo bottino, ora però non ha tempo di farlo. Ha altri traguardi da tagliare con le sue ragazze che si confermano tra le mi­gliori atlete in ambito internazionale.
Dino, così lo chimano tutti, è tornato a casa dai Campionati Europei di Gla­s­gow con l’oro vinto da Marta Ba­stia­nel­li nella prova in linea e quello conquistato da Maria Giulia Confalonieri nella corsa a punti, a cui vanno aggiunti l’argento ottenuto da  Marta Cavalli, Letizia Paternoster, Elisa Balsamo e Silvia Valsecchi nell’inseguimento a squadre, oltre al promettente bronzo della Paterstoner nell’Omnium.
«Il bilancio complessivo mi soddisfa. Dove volevamo e pensavamo di essere competitivi ci siamo confermati, qualche risultato poteva essere migliore. Che ci siano dettagli migliorabili è indiscutibile» tira le somme il tecnico che guida il movimento rosa dal 2001. Troppo esigente? No. Il messaggio più che per le ragazze è per chi deve garantire loro gli strumenti per arrivare al mas­simo agli appuntamenti che contano. Onorare la maglia azzurra è una cosa seria e a due anni da Tokyo 2020 non è ammissibile non avere un velodromo coperto su cui i nostri migliori assi del pedale possano allenarsi.
«Ci serve una pista e ci serve vicino a casa - afferma deciso Salvoldi. - Emi­gra­re o spostarsi è un ripiego, non una alternativa. Significa perdere continuità nel lavoro e aggiungere stress a periodi di recupero che fanno parte del processo di allenamento. In più, è una soluzione che non dà garanzie visto che all’estero ogni Paese, comprensibilmente, dà la priorità alla propria nazionale. Per non parlare dell’attività giovanile che quest’inverno si perderà e sarà azzerata in vista della prossima stagione. L’auspicio è che il CONI e la Fe­de­ra­zione stiano col fiato sul collo dell’am­ministrazione comunale di Mon­tichiari. Se non è una priorità locale, a livello sportivo lo è e a livello na­zionale. Non è una piscina o una palestra che trovi facilmente nel paese di fianco...».
Parte subito all’attacco, Dino. Come le sue atlete dimostra carattere e forza di volontà. Parliamo dunque di loro e di questo recente Europeo multidisciplina che, nonostante una preparazione precaria, ci ha regalato comunque tante soddisfazioni. A partire dalla pista.
«L’argento del quartetto mi soddisfa ma, per come siamo arrivati in Scozia, mi resta un rammarico molto grande. Non volevo mettere le mani avanti pri­ma, né voglio trovare giustificazioni adesso, ma il problema di Mon­ti­chiari ha influito, così come l’attività su strada che tante ragazze di questo gruppo svolgono. Me le tiene lontane dal tondino per tanto, troppo tempo. Per curare i dettagli ci vuole tempo: i cambi, la partenza, la lunghezza delle tirate vanno provate, riprovate e riprovate ancora. A un certo livello non ba­sta solo andare forte. La mancanza di una pista su cui girare serenamente nell’ultimo periodo ci ha penalizzato. Pro­babilmente non avremmo battuto la Gran Bretagna, ma se ci fossimo al­lenati, come avevo in mente di fare, al velodromo di Montichiari oggi avrei meno dubbi rispetto a quelli che ho».
Il metallo più pregiato è andato a prenderselo Maria Giulia Confalonieri nella corsa a punti, disputando una gara impeccabile. Di testa e di gambe. «Parlare a posteriori è facile, ma era un risultato che mi aspettavo perché Ma­ria Giulia aveva dimostrato di avere una condizione molto buona. Tat­ti­ca­mente la gara poteva prendere la piega che ha preso e le ha consentito di arrivare davanti. Sono particolarmente contento per lei perché se lo merita. È sempre disponibile. È una ragazza e  un’atleta che vorrebbero tutti in ogni squadra. La corsa era stata immaginata così e così è andata. Sembra facile: quello che c’è tra il dire ed il fare… lo ha messo tutto lei. Tante volte nel mo­mento delle convocazioni ho dovuto fa­re scelte differenti ed è stata proprio lei ad essere penalizzata: la sua gratificazione personale è un valore aggiunto per il gruppo anche in ottica futura».
Da applausi anche la giovane Letizia Paternoster, sul terzo gradino del po­dio dell’Omnium alle spalle di due ve­terane come Wild e Archibald.
«Come Balsamo e altre juniores con cui stiamo lavorando, Letizia ha le ca­ratteristiche per essere competitiva in questa prova olimpica, ma dobbiamo avere pazienza. Dovremo lavorare sulla resistenza individuale, ma sono fiducioso: verrà con l’età, è programmabile. Nella madison (Paternoster e Confa­lo­nie­ri l’hanno terminata in quinta posizione, ndr) dobbiamo migliorare tantissimo. Il miglior allenamento è correre e possibilmente sempre con la stessa coppia, in allenamento certe situazioni non sono ripetibili. Le attitudini le abbiamo, ma dobbiamo crescere».
Restando sul tondino, fanno ben sperare anche le prove di Miriam Vece nelle specialità veloci in cui in genere pecchiamo. «Ha svolto una buona prestazione nei 500 metri, segnando il record italiano nelle qualificazioni di 34”318, ed è stata discreta sui 200 metri. Rea­listicamente si tratta solo di un piccolo segnale al cospetto di quello che serve per primeggiare in quel settore, ma mi auguro, anche per le altre, che il suo esempio serva da stimolo perché con una velocista sola non andiamo da nessuna parte. Le altre devono rimboccarsi le maniche, è sicuro» prosegue Sal­voldi, che si è tolto parecchie soddisfazioni anche con le juniores ai recenti mondiali di Aigle.
Last but not least è arrivato lo sprint pro­rompente di Marta Bastianelli nella prova in linea, che ha suggellato un lavoro eccezionale di tutta la squadra azzurra. «Su per­cor­si come quello di Gla­sgow, dove il profilo altimetrico non de­termina già i valori in campo prima del via, abbiamo dimostrato che, pur non essendo le più forti in senso assoluto, possiamo andare lontano perché il ci­clismo è uno sport di squadra. Le ra­gazze sono state pri­ma di tutto umi­li ad accettare di lavorare per una pun­ta sola in caso di arrivo in volata, bravissime a mettere in pratica il piano che avevamo stabilito, commoventi nel rinunciare al risultato personale per quello di squadra» prosegue il CT.
Al Campionato del mondo di Inn­sbruck ci aspetta un percorso totalmente diverso, quali ambizioni possiamo nutrire?
«Lì conteranno molto di più le attitudini al tracciato. Erroneamente tutti considerano impegnativa solo la parte finale, in realtà prima è tutt’altro che una passeggiata di salute. Dopo 50 km nei quali non c’è un metro di pianura, è collocata una salita durissima. Per es­sere protagonisti bisogna andare in salita, non vedo altre possibilità.
Ri­spetto ad Annemiek Van Vleuten (l’olandese vincitrice quest’anno di Giro Rosa e La Course by Le Tour de Fran­ce, ndr) siamo su un altro pianeta... E non solo noi. Dovrebbe partire da sola. Di scalatrici obiettivamente non siamo ricchissimi, vedremo nelle prossime corse di valutare la condizione individuale delle atlete con caratteristiche adatte. Sulla carta Elisa Longo Bor­ghini è la nostra atleta migliore per far bene su un percorso così, ma qualche bella sorpresa nelle tappe più dure del Giro c’è stata, penso a Erika Ma­gnaldi o ad altre giovani su cui voglio investire... ».
Questa volta vincere sarà più dura, ma le nostre azzurre sono abituate a sorprenderci. E Dino lo sa.

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