PROFESSIONISTI | 26/01/2016 | 00:13 È abituato a guardare uomini e cose oltre l’apparenza. Soprattutto Massimo Zanetti, 67 anni portati con assoluta disinvoltura e leggerezza, è abituato a guardare oltre. Così ci si trova a festeggiare l’ingresso della sua azienda gioiello nel ciclismo, quella Segafredo che dà lavoro a 3000 persone in 50 Paesi (un miliardo e tre di euro di fatturato annuo, ndr) del mondo, e che ha deciso di entrare ufficialmente nel mondo delle due ruote sposando il progetto di Joe Vadeboncoeur, vice presidente di Trek Bicycle e di Luca Guercilena, direttore generale del team, ma il patron è già oltre, visto che pensa a quello che sarà. E a quello che potrà essere fatto: ad esempio, non lasciare nulla di intentato per portare tra un anno nel team un corridore di nome Vincenzo Nibali.
«Oggi sono felicissimo di questo accordo. Mi piace tanto il progetto che mi è stato illustrato da Luca Guercilena e dai manager di Trek - spiega Massimo Zanetti -, ma è anche giusto coltivare sogni e ambizioni. Io ne ho sempre avuti tanti e tanti ne ho ancora. Sia nel mio lavoro che in questa avventura, che considero sì ricreazione ma anche e soprattutto lavoro, quindi una cosa serissima». Massimo Zanetti è uomo di sport, avendo già portato il marchio Segafredo nel basket (Gorizia), nel calcio (Treviso e Bologna), nel tennis (Internazionali d’Italia), nella Formula 1 (con Senna e la McLaren) ma anche nel golf, nell’hockey ghiaccio e pure nella boxe... Adesso il ciclismo, dopo anni di annunci e ripensamenti.
Tante volte, soprattutto negli ultimi anni, il nome della sua azienda è stato accostato al ciclismo. Poi non se ne fece più nulla. Perché questa volta ha deciso di entrare? «Perché sono nato a Treviso, in una delle province più ciclistiche d’Italia, forse la più ciclistica di tutte. Sono da sempre appassionato e ho tanti cari amici che ruotano a vario titolo in questo mondo, come Rudy Barbazza - il signor Rudy Project -, Nani Pinarello che per me è stato come un padre e Red Canzian dei Pooh, un caro amico con il quale ogni domenica esco ancora in bicicletta. Ma dovevo trovare il progetto che mi conquistasse. Noi siamo un’azienda mondiale e avevamo bisogno di un progetto che guardasse al mondo. La Trek ci ha convinto. Azienda seria, solida e mondiale, di matrice americana ma con un team management italiano. Maglia nera, un colore che è il nostro. Insomma, io volevo entrare nel ciclismo perché ho una passione vera e conosco anche le potenzialità di visibilità che questo sport ha, ma non volevo entrarci a tutti i costi. In un primo tempo pensavamo a una squadra tutta nostra al fianco di Bjarne Riis. Abbiamo parlato anche con Tinkov, ma non se n’è fatto nulla. Alla fine ci è arrivata la proposta di Trek e visto e considerato che in America facciamo il cinquanta per cento del nostro fatturato... E poi se vuole proprio che gliela dica tutta, a convincerci di entrare è stato anche il fatto di avere come nostro partner il Centro Mapei Sport del dottor Giorgio Squinzi, un uomo, un imprenditore che stimo moltissimo. Poi il gruppo di atleti di cui dispone la Trek è di prima grandezza, ad incominciare da Cancellara, per passare a Mollema, Nizzolo e al giovanissimo Bonifazio di cui mi parlano in gran bene. Insomma, c’è tutto quello che avremmo voluto avere. E negli accordi noi siamo primo sponsor, tanto è vero che la squadra si chiama Trek Segafredo come se fosse una parola sola. Abbiamo firmato per tre anni con l’opzione per altri due. Ma posso anche anticiparle che, se le cose andranno come io mi auguro, alla fine di questa stagione terminerà la nostra sponsorizzazione in F1 con la Mc Laren e non è detto che parte di quell’investimento lo si possa convogliare nel team ciclistico. Noi per questo progetto abbiamo una società ad hoc, una sorta di ramo d’azienda che si occuperà solo dell’attività che facciamo nel mondo dello sport e di questo si occuperà Luca Baraldi, uomo di sport e grande appassionato di ciclismo da sempre. Vediamo, quest’anno ci servirà per capire e vedere come muoverci anche in futuro».
Un budget che potrebbe diventare più ampio, soprattutto se dovesse arrivare Nibali… «Il progetto è di ricostruire una squadra italiana di levatura mondiale, con sponsor e capitano italiano. Noi ci crediamo. A me questa cosa piacerebbe davvero tanto. I miei collaboratori ed io crediamo molto in questo progetto».
La corsa che le piacerebbe vincere? «Io spero che si possa vincere tanto e bene. Fabian Cancellara è super motivato, dice che sarà la sua ultima annata ma che vuole fare del male agli avversari, perché lui non va mai alle corse solo per mettersi il numero sulla schiena. A Fabian piacciono la Sanremo, il Fiandre, la Roubaix: beh, una di queste piacerebbe anche a me. Ma una Sanremo vinta in perfetta solitudine sarebbe il massimo dei massimi».
Ma da dove nasce la sua passione per il ciclismo e per lo sport in generale, visto che Segafredo fa tanto per lo sport di vertice? «Mio padre Virgilio è stato un ottimo sportivo, e io ho respirato aria di sport fin da piccolo. Papà era una promessa dell’atletica ai tempi di Ondina Valla. La sua specialità erano i 1500 metri, ma aveva una passione travolgente per tutti gli sport: dal calcio alla boxe. Io nel mio piccolo sono stato un discreto tennista: a 15 anni ho vinto il campionato del Triveneto e sono finito quarto ai Tricolori. Quello era il mio sport e facendo il maestro di tennis ho anche conosciuto mia moglie...».
Potenziale tennista, ma anche un potenziale cantante… «Sono uno che non si è mai tirato indietro e si è sempre buttato pur di fare quello in cui credeva. Dopo il tennis, mi sono dedicato al calcio. Non ero malaccio, me la cavavo anche benino e avrei potuto giocare nella Primavera del Verona ma poi, come spesso mi è capitato nella vita, ho cambiato radicalmente strada. Io sono curioso, soprattutto mi piace esplorare, buttare il cuore oltre l’ostacolo. Così ad un certo punto ho deciso di cambiare e mi sono dedicato al canto. Prima di tutto con il mio amico Red Canzian, il quale non faceva ancora parte dei Pooh. Pensi che in quel periodo ho vinto anche il Festival di Bibione con Annarita Spinaci e sarei dovuto andare in Tv da Pippo Baudo a Settevoci ma, sempre per quella mia irrefrenabile voglia di conoscere e misurarmi, ho lasciato perdere la musica leggera e mi sono dedicato alla lirica… A quel punto è arrivata in mio soccorso mia moglie che mi ha detto: “Ora cominci a lavorare sul serio” e io ho cominciato a farlo, portandomi però dietro quella voglia di scoprire che non mi è mai mancata. È così sono diventato un caffettiere, come amo definirmi anche in onore a Carlo Goldoni. Mio papà importava caffè, io a 25 anni ho aperto una torrefazione qui a Villorba. Il salto di qualità l’abbiamo fatto nel 1977 rilevando la bolognese Segafredo. Adesso il nostro marchio è conosciuto in tutto il mondo e uno dei nostri caffè, il Kauai delle Hawaii, è arrivato alla Casa Bianca perché è il preferito dal presidente Barack Obama».
A proposito di canto e cantanti: è vero che a causa di Gianni Morandi lei ha perso il Bologna? «Sì, diciamo che quella non è stata propriamente una bella avventura. Un anno fa, Gianni Morandi venne qui a Treviso, nel mio ufficio, e mi pregò nel vero senso della parola di rilevare le quote sue e di Guaraldi. Io accettai con grande entusiasmo, poi e ho scoperto che giocavano su più tavoli e le loro azioni invece che finire a me come da promessa, andarono agli americani. Spero che il ciclismo mi riservi ben altre soddisfazioni».
Ci perse molti sghei? «È meglio che non ci pensi».
Nel suo cuore però resta un grande dello sport: Ayrton Senna. «Mi creda, nessuno come lui. Quando mi trovo a dover parlare di Ayrton mi viene ancora da piangere. L’ho conosciuto che aveva solo 17 anni e, grazie al nostro ingresso nella Toleman, riuscì ad avere il suo primo contratto in Formula 1. Per me Ayrton è stato come un figlio. Quello è davvero il mio grande rimpianto. Uno come lui mi manca».
Presidente, torniamo al ciclismo: quando sboccia il suo amore? «Papà mi portò da piccino al Giro d’Italia e li vidi Coppi e Bartali. Fausto con la maglia rosa, Gino con quella tricolore di campione d’Italia. Rimasi così colpito e affascinato che da quel momento non ho mai smesso di seguire questo magnifico sport».
Lei è un uomo che sogna e realizza: cosa sogna di realizzare nel ciclismo? «Un team italiano di livello mondiale, il più forte della sua epoca. Come seppe fare Giorgio Squinzi. Sì, fare una cosa come seppe fare lui con la Mapei mi piacerebbe davvero tanto».
Beh, se ha tempo di incontrare Squinzi, penso che qualche consiglio glielo possa anche dare… «Ci siamo già sentiti, e ci siamo dati appuntamento con l’anno nuovo. Di cose da raccontarci ne abbiamo certamente tante. Il ciclismo è una di queste».
Buon anno presidente, e ben arrivato nel mondo del ciclismo. «Buon anno a tutti gli appassionati, e buon anno ai lettori di tuttoBICI».
Finalmente si rivede qualche azienda italiana che riprendere a credere nel ciclismo. Vi prego, facciamo in modo di non farli scappare, di queste stroz.te ne abbiamo già fatte troppe, mostriamo all'altezza di queste persone meravigliose che cercheranno di riportarci ai vecchi fasti.
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