È difficile essere un "boss" donna?
«No perchè ho la fortuna di lavorare con un bel gruppo. I ragazzi che dirigo sono atleti professionali, a loro interessa avere indicazioni dal loro ds, non importa di che sesso sia. Ho lavorato per tante stagioni nel ciclismo femminile e anche lì non è che ci siano tanti direttori donna ma nel movimento maschile so di essere una mosca bianca. A me non fa strano, in passato ho lavorato come ingegnere e anche in quel settore a parte me erano tutti uomini, ci sono abituata».
Qualcuno ti ha mai detto: "sei una donna, cosa vuoi saperne di ciclismo"?
«No, non mi è mai capitato ma noto che qualche collega quando mi vede in macchina in gara strabuzza gli occhi come per dire "è davvero una donna quella al volante?". Ho corso per 10 anni, questo è il mio settimo anno in ammiraglia. Ho sempre amato lo sport in generale e dopo la prima corsa in bicicletta mi sono innamorata del ciclismo. Sono competitiva per natura, guidare i ragazzi in corsa mi dà la stessa adrenalina di quando correvo io in prima persona. Il bello e il brutto di questo lavoro è l'essere sempre in giro per il mondo, ma ho la fortuna che il mio compagno lavora come meccanico per la UHC quindi siamo spesso assieme alle gare».
La squadra per cui lavori ha lasciato a casa quasi tutti gli italiani, come mai?
«Il focus del team da quest'anno sarà il calendario americano difatti non abbiamo più neanche la nostra base europea, ad ogni modo abbiamo ancora un italiano tra noi, Marco Canola, dal quale mi aspetto buone cose».
da San Luis, Giulia De Maio