A braccia alzate. Vincenzo Nibali ha tagliato il traguardo del referendum che la redazione sportiva del nostro giornale aveva ideato nel lontano 1978 mandando gli avversari fuori tempo massimo.
Il nostro Oscar della stagione appena conclusa era inteso allora com’è oggi un po’ un giochino e un po’ un esercizio di memoria per ripassare i capitoli più esaltanti di un libro che si chiude e si riapre. I giornalisti esprimono le loro convinzioni ma anche le emozioni; ridurre lo sport a semplici valutazioni tecniche sarebbe spogliarlo del sentimento, del condimento umano e spettacolare. Significherebbe spolparlo, farlo diventare uno scheletro.
E quali emozioni più forti di quelle trasmesse da Nibali al Tour abbiamo vissuto nel 2014? Il ciclismo in tal senso parte in vantaggio perché ogni uomo, tante donne, sempre di più ogni anno, usano la bici. Siamo tornati come sessant’anni fa per ragioni pratiche ed ecologiche a coniugare felicemente il verbo pedalare. Anche per chi non ha familiarità con la bici in ogni caso è facile immedesimarsi, vivere con intensità l’immagine del corridore che sfida la montagna, alla ricerca di un’impresa esaltante e totalizzante. Come l’alpinismo.
La conquista delle vette non ha paragoni, pur con il rispetto dovuto alla maratona o al tuffo verso gli abissi del mare o a quant’altro. Quella di Nibali, poi, è stata una conquista nella conquista perché è avvenuta al Tour, il massimo. È la laurea, il lasciapassare verso l’immortalità nella storia dello sport. Un esempio: gli Stati Uniti scoprirono il ciclismo agonistico proprio quando un americano, Greg LeMond, divorò le strade di Francia nel 1968.
«Le Tour c’est le Tout», dicono i francesi, orgogliosi del fatto che la corsa gialla, secondo loro, è il terzo evento dello sport in assoluto dopo le Olimpiadi e il Mondiale di calcio. Due manifestazioni che però hanno cadenza quadriennale. Il Tour ha il vantaggio di occupare sempre il mese di luglio, del bel tempo, delle ferie, del pubblico disponibile a vivere totalmente la trama della corsa e le sue emozioni.
Vincenzo Nibali proprio a luglio ci ha fatto digerire più in fretta il flop del calcio azzurro.
È stato protagonista sulle strade di Francia dal primo all’ultimo giorno, mettendo sul manubrio un’energia fatta di intelligenza, classe, ferocia. È stato anche fortunato, ha detto qualcuno riferendosi al ritiro dei rivali più pericolosi, Contador e Froome. Ma nel ciclismo, e non solo, vince chi non cade. E quando mai la fortuna non è una componente importante dei successi?
Sembra quasi incredibile che questo sport affascinante e totalizzante continui a essere così popolare, così amato dalle folle malgrado gli assalti che deve subire da quel mostro insaziabile chiamato doping, che divora spesso i campioni più amati. Ma è proprio questo il paradosso, la forza del ciclismo: è fatto di vittorie e sconfitte, di drammi e resurrezioni, di amicizie e tradimenti. È la metafora della vita, i mostri non riusciranno mai a farlo morire.
Nell’albo d’oro del nostro referendum soltanto l’atletica ha ottenuto finora più nomination (9 contro 7) grazie a momenti d’oro forse irripetibili inaugurati da Sara Simeoni e chiusi (per ora) dal maratoneta Baldini. Il ciclismo mancava nell’albo d’onore dal 2007, da quel Bettini diavolo delle corse di un giorno. Il calcio, lo sport nazionale, quasi non esiste, rappresentato da un monumento come Zoff e stop.
Ma raramente lo sport di squadra premia la figura individuale, nei referendum, se non ti chiami Messi o Ronaldo. In ogni caso ecco che quest’anno, pur staccatissimo da Nibali, spunta il nome di Marco Belinelli, primo cestista italiano di sempre a conquistare l’anello della Nba con i San Antonio Spurs. Si merita l’applauso di tutti gli sportivi. È un po’ in flessione la presenza rosa, che da almeno vent’anni aveva giocato alla pari con i maschi.
Non sono in classifica i team o i club, Ferrari o Juventus per esemplificare, così come non ci sono bis nell’albo d’oro, tipo Valentino Rossi o Federica Pellegrini. Fino a pochi anni fa lo impediva il regolamento. Ma ora queste barriere sono cadute. Forza Nibali, regalaci un’altra impresa, c’è ancora posto per te.
di Gianni Romeo, da La Stampa
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