Buon sangue non mente. Il cognome aiuta la memoria a rituffarsi indietro di 40 anni: Zilioli. Ma questo Zilioli è Gianfranco, è nato a Clusone il 5 marzo 1990, vive a Casnigo nella bergamasca e non ha (ancora) vinto né al Giro d’Italia né al Tour de France, anche perché non ha ancora potuto prendervi parte. Gianfranco Zilioli dopo un’ottima annata tra gli Elite con la maglia del Team Colpack, a cui ha regalato l’Oscar tuttoBICI, spiccherà infatti il grande salto tra i professionisti con i colori dell’Androni Venezuela.
Dicevamo che a differenza del più famoso Italo, professionista dal 1962 al 1976, non vanta (ancora) cinque vittorie di tappa nella corsa rosa e una alla Grande Boucle, ma si è già fatto notare tra i big vincendo da stagista per distacco la 68a edizione del Gran Premio Industria e Commercio di Prato. Lo scorso 22 settembre questo ragazzino dal viso scavato e dal naso aquilino si è presentato nella massima categoria con il miglior biglietto da visita possibile, vale a dire arrivando primo e da solo. E pensare che solo qualche mese fa era più probabile che nel suo futuro ci fossero cavi e impianti elettrici, altro che due ruote...
A maggio hai pensato di smettere di correre, come mai?
«All’inizio dell’anno ero passato da Under 23 a Elite senza trovare una squadra professionistica. Dopo il Giro del Friuli il freddo, che a inizio stagione soffro parecchio, mi aveva spento. Dopo tutta la preparazione fatta per il GiroBio, ho saputo che non si sarebbe disputato: avevo puntato tutto su quella gara, così mi sono demoralizzato e ho tirato fuori dal cassetto il mio diploma da elettricista. Poi le cose sono cambiate. È arrivata la chiamata di Gianni Savio e il passaggio tra i grandi è diventato realtà».
Hai vinto l’Oscar tuttoBICI come miglior Elite del 2013.
«Sì, la vittoria dell’Oscar tuttoBICI in parte è arrivata per caso, perché nei primi mesi della stagione ho solo pensato ad andar forte senza focalizzarmi sulle prove valide per la classifica poi, quando mi sono accorto di potermela aggiudicare, l’ho cercata. Questa categoria è spesso considerata rifugio per i ragazzi meno talentuosi che si ostinano a voler tentare di passare al professionismo, ma spesso rappresenta una seconda occasione per chi ha bisogno di più tempo per maturare o chi ha avuto un po’ di sfortuna, come me. Sono stato frenato da un po’ di infortuni: due anni fa ho rotto la clavicola, nella stagione passata al Giro ho rimediato dieci punti tra ginocchia e braccia, quindi non sono riuscito a mettermi in mostra come volevo nella vetrina più importante del dilettantismo. La premiazione alla Gran Guardia di Verona è stata emozionante. Ho condiviso questa avventura con il mio compagno di squadra Villella che ha primeggiato tra gli Under 23. Le nostre vittorie sono merito del team Colpack, che per il lavoro che svolge, meritava questo doppio riconoscimento più di ogni altra formazione dilettantistica».
Nel professionismo hai bruciato le tappe. Ti aspettavi di vincere così presto?
«Immaginavo di pagare di più il salto di categoria, invece al GP di Prato ho trovato la giornata perfetta. In gara avevo in mente solo di aiutare la squadra andando in fuga da lontano, ma un po’ perché sono stato bravo, un po’ per la fortuna di essere sottovalutato dal gruppo (avranno pensato: “è uno stagista, lo andiamo a riprendere quando vogliamo...”) sono riuscito a vincere. Mentre a poche centinaia di metri di distanza si disputava il campionato del mondo della cronosquadre, su suggerimento di Pellizotti a sette chilometri dal traguardo ho lasciato i miei compagni di fuga della prima ora andando a vincere. Non avete idea della soddisfazione che ho provato!».
Hai un cognome importante per il mondo del ciclismo, non sarebbe male ripercorrere la storia?
«Magari, mi basterebbe riuscire a raccogliere la metà di quanto fatto in carriera da Italo Zilioli! Per quanto riguarda i legami di parentela non ho certezze ma i suoi genitori si chiamavano entrambi Zilioli ed erano originari del mio paese che conta 3000 abitanti, quindi anche se fosse alla lontana in qualche modo abbiamo lo stesso sangue che scorre nelle vene».
In famiglia chi altro pedala?
«Mamma Giannina e papà Vittorio sono entrambi pensionati e ovviamente sono i miei primi tifosi. Ho due fratelli, Matteo, che ha 30 anni e un figlio di due di nome Alessandro, e Diego, che ne ha 27 e per un paio di stagioni ha praticato ciclismo, finché ha capito che era meglio darsi ad altro. Se io invece continuo a pedalare lo devo a lui che mi ha trasmesso questa passione».
Quando hai iniziato ad andare in bici?
«A sei anni, da G1. Guardando Diego, sono rimasto affascinato dalla bicicletta e così appena ho raggiunto l’età per poter correre mi sono iscritto alla UC San Marco Vertova. Ricordo ancora il giorno che ho visto la mia prima bici da corsa, appoggiata al muro. Era una semplice biciclettina come le altre messa a disposizione dal presidente della squadra, ma a me pareva un gioiello prezioso».
Che tipo sei?
«Sono un ragazzo tranquillo, che non si fa mai troppi problemi e in linea di massima si adegua a tutto e tutti. A volte questo lato del mio carattere penso sia un pregio, altre un difetto perché in alcuni casi bisogna anche sapere dire di no, essere un po’ più egoisti e non rispondere sempre di sì. In qualche occasione dovrei essere un po’ più cattivo, in corsa mi riesce già abbastanza bene, quando salto in sella mi trasformo. Nel tempo libero mi piace ascoltare musica di ogni genere e leggere libri di avventura».
Che atleta sei?
«Mi definisco passista scalatore. Vado bene in salita e mi difendo in pianura. Non sono per niente veloce, quindi nel futuro non posso pretendere di diventare uno sprinter, ma la mia ambizione è di migliorare sui terreni più adatti alle mie caratteristiche. Vorrei lavorare più sulla cronometro, specialità che tra i dilettanti viene curata poco».
Arrivi da un vivaio molto florido, il Team Colpack, che è un gruppo di ragazzi forti e di amici. Possiamo dire con chi sei andato in vacanza?
«Certo. Sono stato alle Canarie con Davide Villella, Stefano Locatelli e Andrea Di Corrado, tutti miei compagni tra i dilettanti. La Colpack più che una squadra è una famiglia, non è retorica. Siamo tutti molto uniti e passiamo tanto tempo insieme anche al di fuori degli impegni del mondo delle due ruote. Il ciclismo regala amicizie speciali che vanno al di là della maglia. In gara si è rivali, ma finita la competizione, comunque sia andata, l’amicizia è salda quanto prima».
Hai esordito tra i professionisti come stagista ad agosto in occasione del Trittico Lombardo.
«Esatto. Alla Coppa Agostoni ho visto di fianco a me gente come Cunego e Pozzato, che fino al giorno prima avevo ammirato solo in tv. Delle prime corse che ho disputato nella massima categoria mi hanno impressionato il ritmo e la fatica, ma mi sono ben presto abituato. All’Androni Venezuela ho legato con tutti, dai dirigenti ai corridori, sono rimasto positivamente sorpreso da quante persone per bene e umili compongano questo team di alto livello».
Hai firmato un contratto biennale ed il tuo team manager Gianni Savio il mese scorso a tuttoBICI ha raccontato che sei l’atleta che più l’ha stupìto nel 2013 e da cui più si aspetta da ora in poi.
«Le parole di Gianni mi lusingano e mi spingono a dare il massimo per non deludere le sue aspettative e quelle di tutta la squadra. Il 19 e 20 novembre a Cesenatico ci siamo riuniti per iniziare a programmate il 2014. L’idea è di partire tranquillo per poi farmi trovare pronto, se dimostrerò di essere all’altezza, per le corse più importanti. Mi sto allenando in questa prospettiva, darò il massimo».
Più di qualcuno è convinto che meritassi una chance in un team World Tour.
«Visti i tempi, i tanti corridori a piedi e le squadre che chiudono, va benissimo così... La squadra che mi ha scelto e ho scelto è davvero stupenda e credo per me rappresenti l’ambiente ideale per crescere gradualmente e senza troppe pressioni. Sono soddisfatto del contratto firmato e mi ritengo fortunato di avere avuto questa chance tra i professionisti, che sfrutterò al meglio».
Ti stai già allenando per il 2014?
«Sì, dopo le vacanze, ai primi di novembre ho iniziato la preparazione andando in palestra, in piscina e divertendomi a camminare in montagna. Man mano ho ripreso anche la bici e iniziato a seguire i programmi stilati dai nostri preparatori del Coach Team Assistant».
Con il grande salto, in cosa dovrai migliorare?
«Per poter mantenere un buon livello durante l’intera stagione dovrò trascorrere più tempo in altura e meno a casa. Questo fa parte dei sacrifici di questo mestiere, ma non mi pesano. Quando ero più piccolo facevo fatica a “fare la vita da corridore” e spesso uscivo con gli amici la sera prima delle gare. Negli ultimi anni però ho capito che solo stando attento alla dieta e andando a letto presto si può andare forte».
Il consiglio legato al ciclismo più prezioso che hai ricevuto?
«I tecnici che mi hanno seguito alla Colpack mi hanno insegnato che è fondamentale non farsi mai soverchiare dagli altri, che è importante seguire i consigli di chi crede e tiene davvero al sottoscritto e, comunque vada, che è fondamentale rimanere con i piedi per terra».
Cosa ti aspetti dal tuo primo anno tra i big?
«Partecipare al Giro d’Italia per me sarebbe un sogno. La corsa rosa è la più bella di tutte. Tra i dilettanti nelle corse a tappe mi sono sempre trovato bene, tra i big sarà tutta un’altra storia quindi vedremo come andrà. In generale, qualunque corsa prevederà il mio calendario, spero proprio di mettere in campo buone prestazioni per ripagare la fiducia concessami dalla squadra».
Un campione da emulare?
«Vincenzo Nibali al momento per me è il più grande corridore che c’è al mondo. Riuscissi a fare un decimo di quello che sta dimostrando lui, sarei davvero appagato».
Un sogno per il tuo futuro?
«Non sono uno che ama sbilanciarsi troppo, ma se proprio vogliamo pensare in grande, un giorno vorrei vincere una grande corsa a tappe».
di Giulia De Maio, da tuttoBICI di dicembre
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