
Bici da città, da passeggio, da corsa. Maglie, magliette, maglioni. E una fascia rossa al braccio. O un berretto rosso in testa. Erano i Ciclisti Rossi. Pionieri della Resistenza.
Da strumento inaccessibile a mezzo di trasporto, la bicicletta era diventata ribelle, rivoluzionaria, perfino sospetta. Nell’estate 1894 l’Associazione milanese di ciclisti socialisti partecipava alle corse ciclistiche per fare propaganda elettorale. Nel 1898, sempre a Milano, in occasione dei moti popolari contro la fame, il generale Bava Beccaris aveva proibito la circolazione di “biciclette, tricicli e tandem” per evitare che diventassero un mezzo di comunicazione prezioso tra gli insorti. Altri gruppi attivi erano la sezione ciclistica Forza e Costanza delle cooperative di Brescia e il Club Ciclistico Avanti a Roma. Solo grazie ai Ciclisti Rossi il quarto congresso nazionale socialista, tenutosi a Firenze dall'11 al 13 luglio 1896, mise all'ordine del giorno il problema dello sport. Il 26 luglio 1903 a Cervia si tenne il primo convegno ciclistico regionale, con delegati delle Marche, per sottolineare l’importanza della bicicletta per la diffusione delle idee rivoluzionarie di Giuseppe Mazzini. Un altro convegno di repubblicani marchigiani e romagnoli si tenne nella Repubblica di San Marino nell’agosto 1904.
Il 12 giugno 1905, per iniziativa dei socialisti di Reggio Emilia, fu fondato il primo gruppo di Ciclisti Rossi: davanti alla Cooperativa di Prato di Correggio si diedero appuntamento le squadre ciclistiche di Reggio, Bagnolo, Correggio, Rubiera e San Martino in Rio. L’incontro era promosso dalla locale Camera del Lavoro per mettere a disposizione “un rapido mezzo di conversazione per le grandi battaglie dei lavoratori”. Il 10 aprile 1906 a Carpi, in provincia di Modena, sorse l’Unione Sportiva Socialista, aperta agli iscritti al Partito Socialista in possesso di una bicicletta, con lo scopo di “giovare al Partito Socialista nelle lotte elettorali, di organizzare gite di propaganda e piacere, cortei socialisti”. Nel maggio 1906 i componenti dell’Unione organizzarono un convegno contro la tassazione eccessiva sulle biciclette, e il 3 giugno 1907 si tenne a Carpi un raduno di quasi 500 ciclisti venuti da Reggio Emilia e Correggio. A Reggio Emilia i Ciclisti Rossi contavano quattromila associati, divisi in squadre per ogni frazione di comune, e contraddistinti da un berretto rosso, e duemila di loro parteciparono in corteo alla festa del 1° maggio 1906. Il ruolo dei ciclisti era anche fornire un servizio d’ordine con rapidità di movimento per manifestazioni e cortei. I Ciclisti Rossi davano vita anche a concorsi ciclistici floreali e gite turistiche. In testa al gruppo la fanfara del Veloce Club.
La Resistenza in bicicletta era nata così. Poi le staffette soprattutto di donne per rifornire i partigiani, Gino Bartali che nascondeva e consegnava carte d’identità contraffatte per dare una nuova identità agli ebrei perseguitati, Alfredo Martini e Renzo Zanazzi che trasportavano armi da consegnare ai partigiani, Alfredo Pasotti che andò in fuga – era la sua specialità – ma stavolta da un gabinetto e poi da un cornicione della prigione di Pavia, cento metri di corsa e c’era suo cugino che lo caricò sul manubrio di una bici, i due evitarono le fucilate dei fascisti e attraversarono il ponte sul Po, poi Pasotti andò ancora un fuga, stavolta in montagna.
Le vicende dei Ciclisti Rossi sono raccontate – tra l’altro - su “La bicicletta nella Resistenza” di Franco Giannantoni e Ibio Paolucci (Edizioni arterigere, 2008, 256 pagine, 12 euro), “Storia sociale della bicicletta” di Stefano Pivato (il Mulino, 2019, 280 pagine, 22 euro), e “Biciclette partigiane. Venti storie di ciclismo e Resistenza” di Sergio Giuntini (Bolis, 2022, 142 pagine, 16 euro) e sul sito http://www.andreagaddini.it/ciclisti_rossi.html
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