
Il giorno in cui poteva finalmente fare la sua corsa – Giro della provincia di Reggio Calabria, anno 1950 – e prese in testa la salita per poter scollinare fra i primi e giocare le sue carte in volata, in un tornante Fausto Coppi lo superò a velocità doppia dicendogli “dai, andiamo, ché quello là ha forato”, “quello là” era Gino Bartali, ma lui si smontò, si sbriciolò, e così liberò l’ultimo fiato rimasto in gola: “Vadaviailcu te e il Gino”.
Renzo Zanazzi, mantovano poi subito milanese, classe 1924, il 5 aprile avrebbe compiuto 101 anni. Li compirà comunque, nel cuore e nei garretti di quei volonterosi che, guidati da Paolo Tagliacarne di Turbolento, si cimenteranno da Milano sulle “Strade di Zanazzi”, uno dei numerosissimi itinerari studiati proprio da Tagliacarne ed etichettati come “Strade zitte”, una ragnatela di vie dove pedalare e rigenerarsi in sicurezza: il giro di Zanazzi (62 km strada), il giro bisbetico (62 km gravel), i 90 di Zanazzi (90 km strada), i 100 di Zanazzi (100 km strada) e Naviglian Rapsody (140 km strada). E sabato 5 aprile “ci troviamo – promette Tagliacarne – per pedalare ricordando e ricordare pedalando”. Per saperne di più https://turbolento.net/le-strade-di-zanazzi/
Renzo, che soggetto, e che nostalgia. Non c’è giorno che non mi investa, che non mi rimbrotti, che non mi sfiori, che non mi strappi una risata. Vadaviailcu. Estrazione popolare, cuore socialista, gambe da gregario ma testa da campione, Renzo aveva un destino rotondo come due ruote ben centrate. Fra gli allievi dominava, tanto che lui e il fratello minore Valeriano si dividevano le corse e i premi, fra i dilettanti vinceva, in volata e in fuga, su strada e nel cross, fra i partigiani si distingueva, sempre in missioni anche ciclistiche, e passò professionista alla fine del 1945. Ha servito Gino Bartali nella Legnano, Coppi in nazionale, Fiorenzo Magni nella Ganna, e poi, in corsa, anche Koblet, aiutandolo ad aggiudicarsi la maglia rosa nel 1950. Poche ma buone vittorie (con una vittoria di tappa al Giro d’Italia nel 1946 e due nel 1947, con tre giorni in maglia rosa nel 1947), e infiniti racconti, resoconti, retroscena. Quando volò in un’americana abbinato proprio a Coppi, indossando anche la maglia di campione del mondo. Quando il direttore sportivo Eberardo Pavesi gli spiegava che, per andare forte, bisognava dimenticare il sesso. Quando dopo una vittoria al Giro gli arrivò un telegramma, era il patron che si congratulava per il successo e poi gli ordinava di non vincere più, altrimenti lo avrebbe licenziato. Quando dopo la Seconda guerra mondiale si guadavano i fiumi a piedi perché i ponti erano crollati sotto le bombe e si dormiva in alberghi senza acqua corrente e frequentatissimi dalle pulci.
Zanazzi era il ciclismo a pane e acqua, a sali e scendi, a mangia e bevi, a tutta, alla morte. E smesso di correre alla fine del 1952, ha continuato a vivere, con assoluta fedeltà, il suo matrimonio con la bicicletta: da amatore, da amante, da ambasciatore, da testimone, da cantastorie. Fino quasi al traguardo dei 90 anni. La bicicletta era la sua compagna, la sua medicina, la sua strada, anzi, le sue cinque strade, la sua vita. E anche la nostra.
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