
È tra i corridori più longevi in gruppo, ma quest’anno prova l’eccitazione di un neoprofessionista. Dopo essere stato 15 anni bandiera dello stesso gruppo sportivo, Diego Ulissi ha accettato la sfida lanciatagli dalla XDS-Astana Team ed è pronto a scrivere un capitolo finale che vuole essere all’altezza di una carriera in cui ha vinto almeno una gara in ogni stagione. Un vanto non da tutti, anzi un dato che la dice lunga su quanto sia riuscito a restare al passo con i tempi di un ciclismo che, per quanto è cambiato, sembra un altro sport rispetto a quando era campione del mondo junior (è stato iridato nel 2006 e 2007, ultimo italiano a conquistare il titolo nella categoria fino al successo dell’anno scorso di Lorenzo Mark Finn, ndr).
Quella appena iniziata è la 16esima stagione da professionista per il 35enne livornese, papà di tre bimbe, che a stare con i giovani non solo a casa ma anche in gruppo si sente un ragazzino anche se «ciclisticamente ormai sono un vecchietto». Non sembra, vedendolo in azione nel training camp in Spagna, dove lo abbiamo raggiunto per farci raccontare cosa lo motiva a sgomitare tra le nuove leve.
Come stai Diego?
«Bene, grazie. Ho raggiunto i compagni al ritiro di gennaio qualche giorno più tardi perché ero influenzato, ma mi sono ripreso bene e sono gasato per questa bella novità. Sono super motivato dal progetto che mi ha proposto Vinokurov, in squadra ho trovato tante persone che conoscevo e l’ambientamento è stato facile. Negli anni tra Lampre e UAE ho sempre avuto le mie opportunità e mi sono tolto tante belle soddisfazioni. Avevo in mente di finire la carriera quando volevo io, è passato un bel treno e ci sono salito al volo».
Anche il lavoro dei sogni può diventare monotono?
«No, al via di ogni stagione ho sempre trovato qualcosa che mi stimolasse. Se ho deciso di continuare è perché sto ancora bene fisicamente e di testa, ho avvertito fiducia intorno a me e ho voglia ogni giorno di lavorare per competere ai massimi livelli. Il giorno che non me la sentirò più di sopportare i sacrifici che la vita del corridore impone smetterò, senza rimpianti. Con la nuova maglia mi piaccio, è un cambiamento che ho voluto, anche se i bellissimi momenti che ho passato con la squadra in cui ho militato fino al 2024 non li dimenticherò mai. Sono rimasto in ottimi rapporti con tutti».
Quali incontri hanno segnato la tua carriera?
«Giuseppe Saronni è stato il primo che ha creduto in me e ha fatto sì che, almeno fino a che c’è stata la Lampre, io non mi muovessi da lì. Quando ero più giovane erano arrivate offerte da squadre che allora erano al top del ciclismo mondiale, però ero nell’ambiente ideale e chi mi era accanto ha fatto in modo che non me ne andassi. Orlando Maini è stato un grande direttore ed è grande amico, i suoi consigli sono preziosi. Negli anni più recenti sono stati importanti Gianetti, Matxin e Agostini. Parlando di compagni ce ne sono molti che mi sono rimasti nel cuore. Michele Scarponi è uno dei primissimi della lista. Il primo Giro d’Italia l’ho disputato nel 2011 perché mi ha voluto lui. Nella prima gara che vinsi, il Gran Premio di Prato del 2010, lo battei. L’anno dopo passò in Lampre e mi disse: «Ti voglio accanto, perché se mi hai battuto, devi essere per forza uno buono». Devo citare anche Alessandro Petacchi e Manuele Mori, che per me è come un fratello. Come pure Righi, Spezialetti e Matteo Bono».
Nel nuovo team hai trovato tanta Italia.
«Sì, fa piacere e alla fine anche i ragazzi stranieri si inseriscono alla grande, proprio perché il gruppo tricolore è forte e coeso e permette a tutti di integrarsi. Sono contento di avere come direttore sportivo di riferimento Stefano Zanini. Lo conoscevo già, ci stavamo simpatici da anni, ci siamo ritrovati ed è stata una grande gioia. Ci sentiamo periodicamente, ci confrontiamo, è veramente una grande persona. Ho avuto un’ottima impressione anche della nuova bici. È molto rigida e aerodinamica. X-LAB Bikes è una grande azienda, sanno fare le biciclette».
A casa ci sono ad aspettarti sempre più donne, ormai sei in minoranza schiacciante.
«Nella gara tra i sessi parto battuto (scherza, ndr). Abbiamo cercato il maschietto, vi assicuro che ho dato tutto me stesso in questa missione, ma non è arrivato. Vio la è nata il 22 dicembre e ci siamo goduti le feste a Lugano, ci hanno raggiunto i nonni dalla Toscana, che fortunatamente ci danno una bella mano. Anna è nata a inizio 2020 quando ero bloccato ad Abu Dhabi per il covid, ama giocare con le Barbie e io la assecondo. Lia va per i 13 anni, pratica tennis, e per l’età che ha patisce un po’ di più la mia assenza. Stare tanto lontano non è facile perciò, scuola e allenamenti a parte, quando ci sono condividiamo più tempo possibile. Ci garba stare all’aria aperta, in giardino, in piscina o al mare».
Saresti felice se le tue bimbe un giorno praticassero ciclismo?
«Sinceramente no, avrei paura per i tanti pericoli che presenta la strada, che vivo io ogni giorno. Detto questo, sono e saranno sempre libere di fare quello che vogliono della propria vita, mai le ostacolerei, ma non sarei sereno. Pure Arianna, che è al mio fianco da quando ero junior, non so quanto ne sarebbe entusiasta. Purtroppo al momento il ciclismo su strada è uno sport pericoloso».
Che marito sei?
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere (ride, ndr). Cerco di far felice e aiutare Ari, che ora è ovviamente super impegnata. Stiamo assieme da una vita e ne abbiamo passate di ogni. Abbiamo dovuto affrontare due aborti a mesi avanzati, i miei problemi al cuore nel 2020, ma gli ostacoli fanno parte del percorso. Noi abbiamo cercato di affrontarli stando uniti. Tra marito e moglie c’è sempre occasione di discutere, succede a tutte le coppie, ma bisogna guardare avanti e il primo nostro pensiero sono sempre le bimbe».
Cosa ti spinge a confrontarti con gente che ha 10 anni e passa meno di te?
«A stare con i giovani uno rimane giovane, mi piace ascoltarli e aiutarli, ma anche capire dai preparatori cosa dicono gli studi più recenti per stare al passo con i tempi. Mi piace ogni volta mettermi in gioco, credo sia questa la chiave per essere ancora performante, oltre al fatto di essermi gestito bene. Con il livellamento verso l’alto che c’è, ottenere risultati ed essere competitivo diventa difficile ma questo non mi scoraggia, anzi. La storia delle retrocessioni e promozioni aggiunge un po’ di stress in generale, i contratti ormai vengono fatti in quell’ottica...».
Quanto è cambiato il ciclismo da quando tu sei passato nel 2010?
«Tanto che sembra un altro sport. Per rimanere a grandi livelli, quelli che servono per vincere le gare, ti devi adeguare alle nuove condizioni. La preparazione è l’aspetto che più è mutato (da qualche mese Diego è seguito dal preparatore austriaco Helmut Dollinger, arrivato come lui quest’anno alla XDS Astana Team, ndr). Si fanno decisamente più lavori in soglia per arrivare alle gare preparati, mentre fino a un po’ di tempo fa ci si presentava non al top per entrare in condizione dopo qualche corsa. In questo senso nelle scorse stagioni abbiamo vissuto una rivoluzione. I ritmi di allenamento sono totalmente cambiati, almeno per quanto mi riguarda. Faccio molti meno lavori al medio, prediligendo la Z2 (intensità moderata) e la soglia. In più è cambiata tantissimo l’alimentazione. Si assumono molti più carboidrati, perché per viaggiare a regimi più alti, bisogna assumerne a volontà, sennò rimani in mezzo alla strada».
E tu quanto sei cambiato da quello junior in grado di vincere due titoli mondiali?
«Se riguardo quelle foto mi rendo conto di quanto tempo è passato, eravamo proprio dei bimbetti. Acerbi sotto tanti aspetti e consapevoli che dovevamo affrontare ancora tanta gavetta prima di affacciarci al professionismo ed essere competitivi. Adesso gli juniores più validi vengono presi e messi nelle squadre satellite. A 19 anni corrono già tra i professionisti. Maturano molto più velocemente, anche fisicamente, e sono subito pronti a vincere».
Che obiettivi ti sei posto per il 2025?
«Nessuno in particolare. Probabilmente disputerò le classiche delle Ardenne, Freccia e Liegi in particolare, ma in ogni corsa partirò concentrato e per dare il massimo. Voglio essere il più performante possibile, dare il mio contributo alla squadra e tornare protagonista al Giro d’Italia, che l’anno scorso mi è mancato non poco. La corsa rosa è la gara in cui mi sono espresso meglio (ha vinto 8 tappe, ndr). Nel 2024 i tecnici della UAE hanno deciso di non schierarmi per farmi andare a caccia di punti in altre corse, la stagione prima era stato un testa a testa fino all’ultima corsa con la Jumbo Visma, e si ipotizzava che sarebbe stato lo stesso per conquistare il vertice del ranking mondiale. Invece è venuta fuori una stagione dominata dalla UAE Emirates e magari, col senno di poi, avrei potuto andare tranquillamente al Giro d’Italia. Tanto Tadej lo avrebbe vinto ugualmente».
Mi spiace se con queste domande ti ho fatto sentire quasi da pensione, anche perché siamo coetanei.
«Figurati, sono obiettivo e ciclisticamente ormai sono vecchio. Sono felicissimo della mia carriera finora e voglio chiudere gli ultimi anni bene, continuando ad essere competitivo e trasmettendo ai più giovani la mia esperienza. Il contratto biennale firmato con l’XDS Astana Team potrebbe essere il mio ultimo, come no. Non penso a cosa farò una volta appesa la bici al chiodo, per ora resto concentrato su quello che sto facendo e continuo a pedalare con grande entusiasmo. Bisogna accettare il passare inesorabile del tempo, i cambiamenti, e so che sta per arrivare il finale della mia carriera. L’importante è non avere rimpianti quando ci si guarda alle spalle. Detta fuori dai denti poi, finché passa il tempo va bene. È quando si ferma che è un casino».
da tuttoBICI di febbraio
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.