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Dov’e’ Tsgabu? Alle 7 del mattino gia’in in bici ma non si tratta di una sessione pre-gara supplementare prima della tappa del Tour du Rwanda con partenza da Musanze. Tsabu Grmay, di lui parliamo, oggi 33enne, dopo il ritiro si è tuffato nella nuova avventura di coach, mettendo a frutto nove anni nel World Tour a partire dalla Lampre per finire con la Jayco Jalula, nel 2023.
Eppure c’e’ stata un’appendice agonistica non casuale nel 2024, vero?:
«Si, ho voluto finire al Tour du Rwanda con la stessa maglia del World Cycling Center che m aveva offerto la possibilita’ di trovare posto alla Dimension Data, che mi portò anche in Toscana».
E la missione di allenare come nasce?
«Mi guida la volontà di agevolare l’avvicinamento al ciclismo dei giovani africani, offrendo un’opportunita’ di crescitanel mondo delle due ruote a partire dalla Mia Etiopia e non solo”.
Alla vigilia del Mondiale qual e’ la percezione? “
«Che siamo ad un momento di svolta, perche’ il potenziale e’tantissimo, siamo ben lontani dall’epoca pionieristica di 10-15 anni fa, grazie slcuramente all’attivita formativa della rete di centri UCI in Africa, come quello sudafricano di Paarl che mi ha lanciato, cosi come la nuova struttura appena inaugurata a Kigali. Sono snodi fondamentali per diffondere skills su ogni versante compresa preparazione dei collaboratori e alimentazione o programmi di allenamento, Con i più giovani non si devono bruciare i tempi, continuo a crederlo, specie qui in Africa».
Parole di chi ha anche trascorso un anno al Centro Uci di Aigle. L’entusiasmo che vediamo sulle strade rwandesi non sara fuoco di paglia…
«Affatto, personalmente ho un occhio di riguardo per la regione montuosa da cui provengo, sto lavorando per creare una Academy nella mia citta’ natale di Tigray ed abbiamo appena organizzato una manifestazione”».
Complesso di inferiorità verso i maratoneti?
«Ho dimostrato che c’e’ spazio anche per chi vuole oraticare ciclismo, sport che ho sempre seguito, perche’ gia’mio padre e mio fratello maggiore lo praticavano».
Da atleta, il momento piu’ bello?
«Più che l’affermazione al Tour de Taiwan o i titoli di campione africano a cronometro, non posso che mettere in testa alla personale classifica la prima delle partecipazioni al Tour de France, Che ho disputato tre volte. C’era e c’e’ l”orgoglio di aver rappresentato per la prima volta Il mio Paese alla Grande Boucle. Ho corso un Giro e quattro edizioni della Vuelta, accasandomi in Spagna, a Girona con mia moglie e I nostri due figli. Il piu’ grande gia si appassiona ma nessuno lo forzera».
Come nasce Il Team Amani?
«E’una Continental affiliata per Il primo anno in Rwanda (inizialmente presidiato da Ineos, ndr), siamo ambiziosi e puntiamo a ramificare l’attivita’ anche consolidando Il lavoro presso Il Centro d’allenamento in Kenia, a Iten, punto di riferimento dei runner di tutto Il mondo».
C’è un sogno nel cassetto con il club?
«I programmi del Team Amani, parola che significa “pace”, sono ben strutturati. DIventare la prima squadra del continente africano sarebbe davvero il massimo, a questo obiettivo occorre puntare».