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Come si diventa un bravo direttore sportivo? È stata la prima domanda che abbiamo fatto a Manuele Boaro quando siamo saliti sull’ammiraglia del JCL Team Ukyo. Ancora non sapevamo che sarebbe stato l’inizio di una vera e propria avventura, un piccolo viaggio che ci è stato letteralmente regalato dal Team capitanato da Alberto Volpi: è stato lui che ci ha messo a disposizione ammiraglia, meccanico, massaggiatori e soprattutto la compagnia di un grande atleta che ora è passato dall’altra parte della barricata.
La formazione giapponese è una specie di piccola enclave italiana al Giro dell’Oman, parte dello staff e degli atleti è nostrana e ad ogni partenza, come una specie di rituale, Manuele Boaro si avvicina ad ognuno di loro per dare gli ultimi consigli. Ai suoi ragazzi basta uno sguardo per ricevere sicurezza, lui segna per loro i punti strategici sul foglietto appiccicato sulla bicicletta, poi dà una piccola pacca sulla spalla come buona fortuna. E’ strano pensare che fino a nemmeno un anno e mezzo fa dall’altra parte c’era lui, professionista dal 2011 che ha scelto di dire addio al ciclismo pedalato in modo deciso, sincero, senza l’opzione di tornare indietro. Era l’ottobre 2023 e in occasione della Veneto Classic, che non a caso terminava vicino alla sua Bassano Del Grappa, si era presentato con le sue due bambine per un saluto in grande stile. Mentre ci racconta tutto questo, leggiamo nei suoi occhi l’emozione, quel ricordo forte e vivo che ha cambiato completamente la sua vita, non sapeva quale sarebbe stato il capitolo successivo, ma poi è arrivata la chiamata di Volpi che ha cambiato tutto. La squadra giapponese si sta formando, c’è bisogno di un altro direttore sportivo, Manuele ha l’animo giusto per farlo, perché non provarci? Nel giro di una manciata di giorni inizia la sua avventura.
Passare da corridore a direttore sportivo non è semplice, l’ambiente è lo stesso ma cambia la prospettiva. Un diesse ha la responsabilità su tutto, sui ragazzi, lo staff, deve calibrare ogni cosa, ma soprattutto lavora il doppio, per non dire il triplo. Dal 2018 Boaro si è trasferito con la compagna e le sue figlie a San Marino, è stato uno dei primi corridori a farlo, una scelta di vita importante ma che gli ha permesso di inserirsi in una piccola comunità in cui lo sport viene vissuto a tutto tondo. Il suo lavoro continua anche fuori dalle gare, Manuele gestisce, controlla il materiale, fornisce ai corridori quello di cui hanno bisogno, ma soprattutto si confronta con loro giornalmente, dà consigli, si assicura che stiano bene. Poi, una volta arrivato il momento delle gare, tutto si moltiplica: il percorso viene studiato alla perfezione con l’aiuto di Veloview, prepara come detto un foglietto riassuntivo da incollare sulla bici con salite e rifornimenti, se serve dà una mano anche ai massaggiatori per preparare borracce, lavare frigoriferi, non si tira mai indietro. La prima gara da diesse è stata l’Alula Tour dell’anno scorso a fianco di Volpi, poi l’Oman tutto da solo, un salto grande, ma che Manuele ha affrontato con destrezza innamorandosi del suo lavoro e trovando il suo nuovo posto.
Intanto la tappa è partita, nelle retrovie del gruppo c’è traffico, Manuele si muove con destrezza, ma soprattutto dando l’impressione che gli venga più che naturale. In ogni mossa, in ogni decisione, porta con sé l’esperienza accumulata negli anni da ciclista professionista, da gregario di lusso disposto sempre a lavorare duro, ad andare in fuga e portare rifornimenti per i capitani. Nello slalom tra corridori staccati ed ammiraglie, saluta tutti quanti, per molti è ancora difficile pensarlo non più in sella, ma alla guida di una macchina. Giacomo Nizzolo lo chiama con una battuta, quando il brianzolo ha vinto l’europeo c’era anche Boaro, una delle sue tante firme nei successi dei campioni. Nel 2015 ha vinto il Giro d’Italia insieme a Contador, nel 2017 è arrivato terzo con Nibali, di ognuna di queste esperienze conserva un ricordo particolare. Tra i tanti che ha incontrato, cita più volte Bjarne Riis, è stato il diesse danese a volerlo in Saxo Bank e da lì è ufficialmente iniziata la sua avventura nel mondo del professionismo, gli ha insegnato ad essere un corridore vero, ma soprattutto cosa significa il rispetto. Per Manuele questo è il valore più importante, il rispetto dentro e fuori la corsa ed è quello che cerca di insegnare ai suoi ragazzi.
Sentire i racconti di Boaro è come fare un salto nel ciclismo fatto di magia, quello dei grandi senatori come Boonen e Cancellara e dei capitani che prendevano sotto braccio i loro gregari più giovani e li presentavano a tutti gli altri. E’ rimasto poco di questo ciclismo, Manuele cerca di tenerlo vivo portando ai suoi corridori tutto ciò che ha vissuto, li consiglia, li manda sulla giusta direzione. «Credo che la cosa più importante sia il rispetto, ai miei corridori insegno a ringraziare sempre anche le ammiraglie avversarie quando ricevono un favore. Bisogna essere cordiali, salutare gli altri atleti, gli altri team, anche giudici e staff, è un segno di cortesia, per me è così che va vissuto il ciclismo. A me è venuto sempre naturale e credo che poi tutto quello che si è fatto ad un certo punto venga ripagato» ci dice Manuele mentre i corridori ci sfrecciano accanto. La sua postazione di guida sembra quella del comandante di un incrociatore stellare: da una parte radio corsa, nell’orecchio la radio connessa ai corridori, a lato un tablet collegato su veloviewer per tenere controllo tutto quanto, in ogni momento.
Diversi atleti si alternano all’ammiraglia, c’è chi prende acqua, chi maltodestrine, altri invece si avvicinano semplicemente per sentire una parola di conforto in un momento difficile. Manuele ne ha una per ciascuno, sprona i suoi ragazzi con rispetto, consigliandoli su cosa avrebbe fatto lui al suo posto, ricorda che non devono mollare. «Non sempre le cose vanno nel verso giusto, magari un ragazzo non entra in una fuga, non segue i piani, sono cose che capitano e da cui bisogna imparare. Non vale la pena urlare durante la corsa, occorre rispetto verso i ragazzi, per le critiche e le considerazioni ci sarà tempo di farlo a cena, a mente lucida, cercando di capire cosa non è andato e provare ad imparare dai propri errori» ci dice Manuele confermandoci ancora una volta il suo sguardo lucido sul mondo del ciclismo e sull’importanza di rispettare gli altri.
E’ impossibile raccontare esattamente cosa succeda nell’ammiraglia Ukyo, una specie di piccolo mondo parallelo in cui, una volta entrati, non si vuole più uscire. La precisione dei giapponesi e lo spirito italiano creano un meccanismo perfetto in cui i ragazzi si trovano bene e vengono spronati a dare il meglio. Alle nostre spalle il meccanico Sakai sta guardingo e silenzioso, gli basta uno sguardo per capire quello di cui Manuele ha bisogno, in modo automatico passa le borracce, cerca il ghiaccio, controlla le ruote, tutto è al suo posto. E’ un viaggio nel viaggio che si muove a velocità doppia della corsa stessa, nello spazio e nel tempo di uno sport meraviglioso condotto da chi lo ama davvero. Eppure c’è una cosa che ci colpisce in pieno, la voglia di fare di Manuele, il suo modo gentile di rapportarsi con gli altri e con la corsa, un giorno gli piacerebbe riuscire a creare un bel gruppo di giovani italiani, lavorare per loro, diventare una squadra di riferimento, un bel sogno che al ciclismo italiano servirebbe tantissimo.
La nostra avventura si interrompe al secondo rifornimento, veniamo affidati alle cure di Fabio e Yuika, i due massaggiatori e dell’addetto stampa Davide che ha coordinato il tutto. Intanto la corsa prosegue, noi ci dirigiamo all’arrivo anticipando tutti quanti. Nonostante la nostra lunga chiacchierata non sappiamo darvi la risposta alla domanda iniziale, non esiste una ricetta perfetta per diventare un bravo direttore sportivo, ma dopo questa avventura c’è qualcosa che abbiamo capito. Manuele Boaro mette passione in tutto quello che fa, ascolta i suoi corridori, dà consigli, ma soprattutto insegna il rispetto, il valore più importante di tutti.
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