Due romanzi. “Ci rivediamo lassù” di Pierre Lemaitre. E “Il male che non c’è” di Giulia Caminito. Lui francese, parigino, lei italiana, romana. Lui 74 anni, e il suo libro 12, lei 36, e il suo libro ha pochi mesi.
“Ci rivediamo lassù” (Mondadori, 480 pagine, 15 euro) è ambientato durante e dopo la Prima guerra mondiale. Due soldati, uno salva l’altro ma ci rimette la faccia, l’altro lo tiene in vita, diventano amici, inseparabili, quasi, poi complici. Il finale non va raccontato.
“Il male che non c’è” (Bompiani, 272 pagine, 18 euro), l’ipocondria, è quello che colpisce un trentenne e ne contamina l’esistenza, in difficoltà al lavoro, a disagio con i genitori, in crisi con la compagna, fino all’esaurimento delle forze. Neppure qui il finale va raccontato.
In “Ci rivediamo lassù” l’immaginazione sale al potere, pagina dopo pagina i fatti si ingigantiscono, capitolo dopo capitolo gli intrecci si moltiplicano, la curiosità di chi legge si trasforma quasi in dipendenza, da non riuscire più a staccarsi, neanche di notte.
In “Il male che non c’è” la situazione si aggrava, il malessere si materializza, si personifica, ed è buio, ed è vuoto, ed è precipizio, e chi legge rischia di identificarsi, o di infastidirsi, e comunque di schierarsi, oppure, finalmente, di imparare a comprendere.
In tutti e due i romanzi, in sottofondo, le biciclette. “Che si trattasse della foto di un ciclista ritagliata da ‘L’Illustration’, di tre versi che aveva ricopiato da un’antologia o di quattro biglie piccole e una grande vinte durante la ricreazione a Soubise, la signora Maillard considerava ogni segreto alla stregua di un tradimento”; “Un giorno, in un circo, delle scimmiette in costume marinaro andavano in bicicletta e gemevano da far piangere. Un dolore così profondo è straziante”; “Portava dei pannelli pubblicitari per le strade, uno davanti, uno dietro, pesava quanto un asino morto, quella roba. Con manifesti che vantavano i prezzi dei La Samaritaine o la qualità delle biciclette De Dion-Bouton”; “Lungo avenue Daumesnil, intere file di veicoli si affrettavano, taxi, carrozze, torpedoni, i ciclisti zigzagavano, i pedoni acceleravano il passo” (da “Ci rivediamo lassù”).
“La cantina era una grotta e il locale caldaia una bocca sdentata, l’intercapedine dove Tempesta teneva i vini era l’ingresso nel labirinto, a percorrerlo tutto s’arrivava fino all’oceano. La bicicletta di ruggine non la usava più nessuno”; “Avrebbe voluto scagliare il bicchiere contro lo schermo, la donna e quello che rappresentavano: le amiche di Jo amanti del surf con un incredibile equilibrio, la bicicletta che lei usava senza fatica per spostarsi anche in città, i cibi proteici che teneva nel frigorifero”; “Legge tanto e per tante ore che ormai il corpo gli brucia, gli occhi sono assottigliati e incollati alla carta, ogni frase è per lui solo la somma delle parole, la velocità con cui fagocita tutto esclude di potersi fermare, è una bicicletta senza freni lanciata giù da uno dei colli di Roma, per le discese che dal Gianicolo portano verso Trastevere”; “Si entrava in un’area residenziale fatta di ampie ville, giardini curati e piscine profonde, famiglie benestanti e signorili, campi da tennis, siepi di due metri e prati ben tagliati, figli pronti a ricevere una nuova bicicletta a ogni festa” (da “Il male che non c’è”).
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