Una bicicletta. “Due ruote sottili, il telaio ricurvo con lo stemma di Edoardo Bianchi, le manopole in legno levigato, il sellino in cuoio con le impunture in rilievo”. E che bicicletta. “Anche smontata l’avrebbe riconosciuta tra mille: quella era la bicicletta di sua madre”. Sarebbe diventata la sua. La bicicletta dell’italiana.
Marisa la mamma, Serafina la figlia. Alta borghesia barese, primi del Novecento. Quando la bicicletta è una stranezza, una bizzarria, forse un capriccio, ancora uno scandalo per una donna. E un azzardo. Marisa fatica a governarla. Una volta va a sbattere contro un muretto. Se la cava con qualche graffio e il manubrio storto. Un’altra volta finisce a terra, ma sbattendo la testa, e le conseguenze sono più pesanti, dopo qualche attimo di svenimento la sonnolenza diventa confusione, smarrimento, nausea e mal di testa, infine la morte.
L’italiana in bicicletta è però Serafina. Che eredita la bici, che seguendo il padre espatria in Cile, che interpreta la bicicletta come libertà e indipendenza, come coraggio e volontà, che pedala per affermare la propria personalità e consolidare la propria autonomia, per inseguire i propri sogni ed esaudire i propri desideri. Ci riuscirà.
Pina Maria Rinaldi ha scritto “L’italiana in bicicletta” (Giunti, 384 pagine, 15,90 euro). Un romanzo d’altri tempi, non solo per l’ambientazione, ma anche per il tono, gli slanci, gli intrecci, le storie, i sentimenti. Un romanzo cinematografico o televisivo, tanto che leggere diventa vedere: il piroscafo che da Napoli trasporta anime e destini in America, il viaggio nell’oceano, le colonie italiane, ma anche le amicizie e le disgrazie che colpiscono e caratterizzano donne e bambini, le lettere che tengono in vita ricordi e promesse, un terremoto che fa crollare case e palazzi e risorgere spiriti ed esistenze.
E la bicicletta? Protagonista fino alla fine. Sembra sul punto di essere abbandonata da Serafina: “E io ti raccomando la bicicletta, papà, non lasciare che arrugginisca sul retro. Portala a spasso ogni tanto, fai un giretto fino al mare e pensa a me”. E invece rimane, sopravvive, unisce, perché Serafina ricomincia proprio da lei e con lei, disegnando e lanciando una linea di pantaloni e bluse abbinate, dedicata alle donne per incentivare le vendite di biciclette da donna. Il finale? Lieto, sorprendente e ciclabile.
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