Vago nel primo villaggio di partenza e non vorrei mai trovarmi nei panni di Pogacar. Nessuno usa l'espressione diretta “gli può sempre venire il fuoco di Sant'Antonio o l'ernia al disco”, tutti usano ruffiani eufemismi, sempre con la doverosa premessa “ovviamente non glielo auguro”, ma la sostanza è molto chiara: il Giro è lungo, può succedere di tutto, guarda com'è finito Vingegaard...
E chi può dire il contrario. Come eccepire di fronte ai supertecnici del caso e del caos. Certo che Pogacar non ha ancora vinto il Giro. Certo che deve sudarselo. Certo che prima di cantare vittoria deve arrivare a Roma. Però patti chiari e amicizia lunga: se stiamo a valutare e a pesare l'imponderabile, è meglio chiuderla subito qui e risparmiarci la fatica. Vale sempre, vale per tutti e per tutto: può succedere qualunque cosa, si vince solo alla fine. E punto. Così è la vita, buonanotte al secchio e tanto vale spegnere la luce. Ma è un ragionare questo?
L'alternativa è tentare invece qualche riflessione sul filo del buonsenso e del realismo, perchè in questo sta il gusto ultimo del Giro e di tutto quanto lo sport. Discutere e appassionarsi, confrontarsi e polemizzare, però prima, perchè davanti al risultato acquisito sono capaci tutti e non sbaglia mai nessuno.
E allora. Diciamo le cose come stanno, senza tanti giri di parole: più che chiederci come Pogacar vincerà il Giro 2024, possiamo chiederci come eventualmente lo perderà. E' un fatto: dovrà impegnarsi molto. Il suo talento eccelso, il suo stato di forma, un percorso disegnato su misura come abito da sposi, il livello della concorrenza: tutto questo obbliga a tirare la conclusione più logica. Pogacar ha già in tasca il Giro, eventualmente può solo perderlo per distrazione o per leggerezza, come si perde dalla tasca il portafoglio, come si perdono le chiavi di casa.
Poi sì, come dicono avvoltoi e civette può sempre succedere di tutto.
Lasciando però queste eventualità al loro livello di auspici menagrami, terrei piuttosto a porgere sincere scuse personali. Tempo fa ho scritto che il Giro dovrebbe fare un monumento a Pogacar per avere scelto d'essere qui. Fesseria clamorosa, la mia. Visto il parco favoriti, di monumenti bisognerebbe fargliene quattro. Forza, proviamo a immaginare lo stesso Giro, con la stessa griglia di partenza, però senza Taddeo: da spavento. Qui si parla di Thomas, di Bardet, ma bastano i primi due strappi per vederli subito in croce. Dice: però neppure Pogacar ha fatto il bello e il brutto tempo, s'è fatto battere in volata. E dunque? Dunque non è poi così forte? Dunque è battibilissimo? Dunque ha dei limiti?
Va bene, partiamo da Torino e andiamo a Oropa con questa certezza: Pogacar non è il mostro che sembra. Se basta la kermesse d'apertura (140 chilometri, strappetti lampo) a sostenere tante speranze, le regalo tutte. A me sembra roba buona solo per quelli che in definitiva considero davvero gli avversari più forti di Taddeo: i beccamorti.