Ci vuole fiato a scrivere, in chiusa di un anno e con lo sguardo giusto teso all’anno che verrà, come è giusto che sia, per la vita e per lo sport del ciclismo.
Ci vuole coraggio per scrivere, ora che per buona sorte relativa Jannick Sinner e il tennis indoor ci hanno consentito di disintossicarci - transitoriamente almeno - dalla corazzata Potemkin del calcio e dalle sue moine/meline/carrellate paludate di incenso.
Ci vuole fiato a scrivere, ipotizzando un ciclismo italiano che plani nuovamente su di noi a ridestare entusiasmi e meraviglie, che siano terrene e plausibili, al di là della figura altera di Filippo Ganna, che ci sembra peraltro destinato al ruolo di sovrano assoluto di quel continente sia pure nobile, e sia pure indoor come il tennis moderno, che resta la pista beneamata.
Ci vuole fiato a spulciare graduatorie e gerarchie e classifiche di una stagione andata in archivio, ricca troppo di assenze tricolori, che ci confina - non andiamo oltre - ai margini del ciclismo maggiore che conta. A chi potremo raccomandare, poniamo in nostra assenza, il futuro - a dicembre 2023 - del ciclismo italiano su strada?
Il gregariato, in una disciplina sportiva che abbiamo nella storia inventato poi noi proprio, non ci si addice per concetto. E ci ispirano passioni tiepide, forse già lo abbiamo descritto in pagina questo nostro disagio, Pogacar e Vingegaard, Roglic e Thomas, e i gemelli Yates. «En attendant Godot», noi ci dedichiamo tuttora ad altro, di lontanissimo, che sentiamo infinitamente più vicino.
E così vi diciamo, e ci diciamo, che il 2024 - ci credevate mica? - qui da noi in Campania sarà ancora una volta l’anno di Coppi, a costo di essere ultraripetitivi se non superflui. Deja vu.
Perché qui giù da noi, ad onta del Giro d’Italia che vi arriverà miracolosamente a maggio prossimo, per il terzo anno consecutivo, senza che i due passaggi precedenti della corsa rosa in Campania abbiano minimamente creato un sussulto di vocazioni/attenzioni non effimere in merito, il ciclismo per fortuna può ancora nutrirsi della sua leggenda, per non finire di crepacuore.
E così ci costruiamo un memoir grazie alla ricorrenza di una cifra tonda, noi carbonari del ciclismo primario, e romantico pure senza offesa per i classici - perché solo per il ciclismo romantico e classico diventano ormai sinonimi -, celebrando i 70 anni della vittoria di Fausto Coppi al Giro della Campania del 1954, il primo “Campania” vinto, e in maglia di campione del mondo, il 4 aprile di quell’anno.
E ricordando poi, ed è il 1944, ed è tardo autunno, metà novembre di quell’anno, il suo ritorno dalla Guerra, con il rientro proprio sulle coste della Campania, e l’inizio - Caserta, campo della RAF, Prisoner of War, come attendente del tenente Towel - del secondo tempo della sua vita di uomo e di campione senza confronto. Saranno 80 anni fa.
Noi, in attesa del futuro, ci difendiamo con il passato. Credeteci, almeno non fa male. Anzi, dà calore vivo ai giorni della stagione morta.
da tuttoBICI di dicembre
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