Affiancate, abbinate. Impassibili, imparentate. Unite di fatto, unite su strada. Con una loro fierezza, con la loro nobiltà. In surplace.
Una Bianchi e una Legnano. Le ho incontrate a Voghera, quattro passi in centro durante una coincidenza ferroviaria. Un incrocio inatteso, e per questo ancora più emozionante.
La Bianchi rossa, la Legnano nera. La Bianchi più stagionata, la Legnano più inesperta. La Bianchi che rivelava qualche cicatrice del tempo, la Legnano che esibiva qualche raffinatezza della moda. Così diverse, eppure così uguali.
A occhi chiusi, la Bianchi è celeste acqua, la Legnano verde ramarro, come dire che la Bianchi è liquida e la Legnano animale. A occhi aperti, la Bianchi rossa, la Legnano nera. A cuore aperto, la Bianchi ricorda Coppi e Gimondi, per dirne due, la Legnano Binda e Bartali, per dirne altri due. Ad anagrafe, la Bianchi si chiamava Edoardo, la Legnano Legnano. A memoria, la Bianchi sapeva di Milano, la Legnano – appunto - di Legnano. Fino al giorno in cui la Bianchi sposò la Legnano. Una unione civile ciclistica, un matrimonio egualitario meccanico. A suo tempo, a suo modo, scandaloso.
Il censimento delle biciclette italiane contempla donne (da Gloria a Cinzia), uomini (Detto Pietro), perfino bambine (Graziella), inventori (Colnago), pionieri (da Gerbi a Ganna), campioni (da Bottecchia a Cinelli, da Adorni a Fondriest, da Olmo a Cipollini) e gregari (da Pinarello a Meazzo), primatisti (Moser) e protagonisti (da Zanazzi a Sambi), specialisti (da Masi a De Rosa), monosillabi (Fuchs) e quadrisillabi (Rossignoli e Doniselli), anche altri colori (Guido Neri) e altri luoghi (Roma Sport). Ma i primi due nomi, a prescindere dall’ordine alfabetico, sono Bianchi e Legnano.
E così, ritrovarle lì, vicine e divise, ancora una volta affiancate, seppure in surplace, conferma che il mondo cambia, ma certe amicizie rimangono, e certi destini non si modificano, non si vogliono, non si possono, non si devono neanche modificare.