Stavolta l'ho cronometrata. Ho cronometrato la Sanremo 2023. E' durata 11 minuti e 38 secondi. Dal primo metro del Poggio al traguardo, 9,1 chilometri. 11 minuti e 38 secondi: tanto dura ormai la corsa più lunga del mondo, che formalmente si snoda lungo 294 chilometri, ma che nella realtà si condensa in questo finale spaventoso, che non ha eguali in nessun'altra gara al mondo.
Per tanta brava gente questo è il suo limite insopportabile, un limite che va rimosso a colpi di aggiunte e di tagli, per trasformarla in qualcosa di molto più normale e di più ortodosso, in realtà simile a tante altre corse sparse in giro per il mondo. Inutile spiegare a questi normalizzatori che una certa bellezza sta proprio nell'originalità e nella specificità di una formula incredibile, 294 chilometri interminabili che caricano a molla il personale del gruppo e poi lo fanno esplodere nella polveriera del Poggio. Non c'è niente di simile e di paragonabile, da nessuna parte. La Sanremo è questa, e se appare ogni anno così, eccentrica, stravagante, svalvolata, in altre parole così Sanremo, il merito è proprio nel format pirotecnico della sua conclusione.
E comunque, guardiamo pure solo il risultato concreto, nudo e crudo. Limitiamoci pure all'ordine d'arrivo: qualcuno dica se non lo trova esemplare, direi sublime, perfettamente rappresentativo dei valori in campo, cioè i meglio dei meglio messi in fila secondo i meriti di giornata. Inutile star qui a dire che Van Der Poel, il nipote di, il figlio di, vince con merito indiscutibile, per forza e per intelligenza. Ma anche i grandi sconfitti, Van Aert e Pogacar, sono comunque al loro posto, mica si può parlare di delusione, perchè in ogni caso hanno autografato la Sanremo con prova d'autore.
Per quanto mi riguarda, però, la vera impresa e la vera sorpresa di giornata sono di stampo italiano, per una volta, dopo tanto tempo. Il secondo posto di Ganna, restando con i migliorissimi e poi vincendo per distacco la volata dei tre inseguitori, vale un trionfo, amarissimo eppure bellissimo.
Con la personalità del campione, Ganna parla di questa sua Sanremo come di una sconfitta. Buon segno: altri sarebbero già in giro a montare boria, a credersi chissà chi, il famoso secondo posto vissuto come affermazione totale, per viverci di rendita chissà quanto, ho fatto secondo a Sanremo, non so se mi spiego. Giustamente Ganna deve viverla come un'occasione persa, perchè nella sua vita è arrivato il momento di aggiungere qualche grande vittoria in linea. Ma al netto della sua macerazione, noi sì possiamo e dobbiamo considerare questo secondo posto, su un podio del genere, come una vera riscossa italiana. Non dimentichiamo mai da dove veniamo e che cosa ormai siamo, sui palcoscenici del mondo: periferia, marginalità, esclusione. Improvvisamente, Ganna ci riporta al centro del gioco, dando del tu ai più grandi della terra. Non è poco, per l'Italia terzomondista e stracciona degli ultimi anni. E' un segno di ripresa e di speranza, a dir poco. Anche se non è una vittoria, è un trionfo. Correre a quel modo, in quella compagnia, gli 11 minuti e 38 secondi più elettrici e sulfurei del ciclismo mondiale è una consacrazione definitiva.
In un certo senso, in questa Sanremo spaziale nasce un altro Ganna. Un nuovo Ganna. Dopo l'uomo jet dell'ora, della cronometro e della pista, s'intravede il guerriero pronto per le grandi classiche. In una nazione depressa come la nostra, è un ristoro che ci fa tirare il fiato. Non penso proprio di esagerare dicendo che la Sanremo di Ganna, per noi, è un colpo di fulmine. Se è vero che certe sconfitte insegnano più di certe vittorie – come tante volte ci piace dire per trovare una consolazione – questa ci consegna una verità fondamentale e indiscutibile: dopo Nibali, il ciclismo italiano ha già trovato il piano B. Anche se ha perso la Sanremo, si chiama Ganna. Da metterci la firma, sulle Sanremo perse così.