Ci guardano, ci indicano, ci spiano. Ci inseguono, ci circondano, ci assediano. Ci fissano, ci salutano, ci sorridono. I ruandesi sono un popolo sorridente. Che cosa ci sia da sorridere – secondo il nostro modo di vedere le cose, da europei, da italiani – non si sa bene. Loro, comunque, sorridono. Sorridono al sole, alla vita, alla bici.
I ruandesi sorridono, e più sono piccoli, e più sono sorridenti. Nonostante il genocidio di quasi trent’anni fa, nonostante la povertà di oggi, nonostante tutto. E questi loro sorrisi sono straordinari. Perché illuminano, sollevano, semplificano. Perché rassicurano, tranquillizzano, incoraggiano. Perché non costano nulla e vogliono dire tanto.
E poi dipende sempre dal punto di vista. Vi ho raccontato del nostro albergo. A noi potrebbe sembrare un po’ vecchiotto, invece qui oggi si celebrava un pranzo di matrimonio, la sposa con le damigelle, come se fosse un cinque stelle con la lode. Dipende sempre dal punto di vista. Vi ho raccontato della gente che vive sulla strada. Tantissimi bambini e pochissimi anziani. Probabilmente perché qui è una difficoltà arrivare a sera, figurarsi arrivare alla vecchiaia.
Il giorno della vigilia è il più strano. Si attende il primo giorno di corsa e il tempo sembra non passare mai. La colazione – quello che c’era - alle otto e mezzo, in bici un paio d’ore dalle dieci e mezzo a mezzogiorno e mezzo, compresa una salitella di un quarto d’ora e un dietro motori inprovvisato con uno scooter-taxi, il pranzo verso l’una e un quarto, poi il riposino e i massaggi, infine la cena – riso in bianco, pollo, verdure cotte –, la solita. In camera aria condizionata e fornellino antizanzare. Intanto ci hanno assegnato e presentato l’autista del pullmino, un locale, che parla in inglese. Noi del Green Project Bardiani-CSF-Faizanè siamo cinque corridori, un direttore sportivo, due massaggiatori e due meccanici, totale dieci, nove italiani e un eritreo. Nello stesso albergo ci sono le squadre dell’Euskaltel-Euskadi, del Team Novo Nordisk e del Q36.5.
Oggi, almeno in corsa, ci sarà poco da sorridere. Colazione alle sette, appuntamento alle nove, via ufficioso alle dieci, nove chilometri di trasferimento, poi centoquindici di gara, tre salite con un dislivello totale di circa millecinquecento metri, nel finale un circuito cttadino da ripetere cinque volte. Se si riuscirà a tenere la corsa chiusa, si arriverà in volata. Ma non sarà facile. Gli africani corrono – io la definisco: una situazione ignorante – senza strategie. Magari in questi ultimi tempi hanno imparato a gestire la corsa, ma finora vanno allo sbaraglio, poca tecnica e pochissima tattica, fanno quello che gli passa per la testa anche se non ne hanno e un chilometro dopo si piantano per terra come pali della luce.
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