Bellissima, stupendissima, superbissima la vittoria. Ma siccome di quella parlano tutti con i dovuti superlativi, perchè davvero questo Girmay li merita con una volata iperbolica, almeno una volta sento il dovere di dedicare un mezzo chilo di superlativi alla sconfitta. Alla sconfitta e allo sconfitto, che non è esattamente un pisquano di bassa gamma: è un numero uno mondiale, è il signor Van Der Poel.
Ma diciamolo tranquilli e sereni, senza farci inibire dal politicamente corretto: per uno come Van Der Poel, essere battuto da Alaphilippe o da Van Aert può essere logico e accettabile, ma essere umiliato così, gettando la spugna dopo una rimonta spolmonata, con evidente gesto di resa e di sottomissione, essere umiliato così dal primo africano di colore a vincere una tappa in un grande Giro, sì, potrebbe risultare umanamente insopportabile.
Invece è tutto un altro film. Il battutissimo spende gli ultimi metri della corsa per fare il gesto del pollicione – su Tik-Tok e roba simile direbbero che mette un like -, e subito dopo il traguardo fa addirittura di più, va a prendersi tra le braccia il suo dominatore e lo stringe come una fidanzata all'aeroporto. Non perchè Girmay sia di colore, non perchè debba recitare un po' di “Black lives matter” a buon mercato: no, solo perchè davvero lo sente e lo crede, è un abbraccio di sottomissione e di riconoscimento incondizionati al più forte. Punto, senza attaccarsi a scuse e moviole, senza andarsene malmostoso snobbando il nemico.
Tecnicamente, il Var stavolta rivela soltanto uno sprint psichedelico, tra due uomini-jet, e il vincitore pure col turbo, altro che vittoria folkloristica e compassione terzomondista. Girmay stupisce il mondo non perchè sia africano, non perchè abbia una pelle un po' scura: stupisce perchè è maledettamente veloce. Se diventerà un campione assoluto e indiscutibile, lo vedremo nel tempo. Da come promette, mai dire Girmay (e con questa accetto il licenziamento in tronco).
Tornando a bomba. Qui Jesi: grandissima la vittoria, enorme la sconfitta. Nell'epoca d'oro delle invidie e degli odiatori, il Giro va controcorrente e ci dimostra nel modo più stravagante che un altro modo è possibile. A dirla tutta, Van Der Poel avrebbe pure qualche buon motivo per non sopportare più Girmay: questa zecca umana gli sta alle calcagna dal primo chilometri del Giro, gli corre addosso come un'ombra, capace che la notte se lo ritrovi nel letto perchè dobbiamo stare vicini vicini. Tattica di corsa persino elementare, quella di Girmay: incollarsi all'olandese e non staccarsi mai. Vinavil. In tutte le tappe lo stesso schema di gioco, per chilometri e chilometri, dall'Ungheria fino a Jesi. Per il Giro è sicuramente il duello più nobile e aristocratico messo in piedi fino a questo punto, diciamo pure un duello mondiale, senza che manchi nulla. Ma per Van Der Poel è anche una bella rottura di scatole. Se fosse della brutta risma degli odiatori, a Jesi non finirebbe così. Finirebbe nei modi che sappiamo, nei modi che vediamo tutti i giorni sul web e per strada, senza tante differenze di titoli e di toni.
E allora grande Girmay, grande Van Der Poel. Grazie Girmay, grazie Van Der Poel. Se c'è un bel modo di vendere bene il Giro e il ciclismo, avete trovato il migliore. Senza nemmeno tante chiacchiere retoriche a margine, del genere Girmay che la fa lunga con il riscatto di un continente negletto o Van Der Poel che se la tira per il bel gesto. La lezione non ha audio inutile e assordante: solo un'immagine e tutti a casa. Magari, eventualmente, un po' migliori. Almeno per un giorno.