Avanti un altro. Dite la vostra, non abbiate timore alcuno. Se pensate che Lance Armstrong vi abbia apostrofato con un fischio denunciatelo anche per catcalling, se ritenete che la pandemia sia riconducibile al corridore texano non esitate a denunciare il fatto: non servono prove scientifiche, basta ed è più che sufficiente il vostro sentiment, che potrebbe diventare quello di tutti. Non abbiate timore, anche il surriscaldamento del pianeta probabilmente centra con quel bullo di corridore che ci ha preso per il naso per anni.
Orbene, che Lance Armstrong ci abbia preso per il naso non ci sono dubbi, io per primo ne ho sempre parlato con assoluto disprezzo, considerandolo il baro più baro di sempre nella storia dello sport, ma da qui a denunciarlo ad ogni piè sospinto di tutto (qualche giorno fa è tornato agli onori delle cronache a causa di suo figlio accusato di stupro), mi sembra oltremodo esagerato. Soprattutto a distanza di anni, quando ormai quello che il capo dell’Agenzia francese antidoping tra il 2006 e il 2015 Jean-Pierre Verdy va in giro dicendo non potrà mai essere provato. La sua parola contro quella di Armstrong. La sua parola contro quella di tutti, come se fossimo seduti al bar.
Cosa sostiene Jean-Pierre Verdy? Che colui che dice di aver vinto sette Tour de France, un sedicente campione, non solo avrebbe utilizzato l'EPO (certo, acclarato e ammesso dopo anni e davanti ad un giudice oltre che in un famoso confronto televisivo con l’icona della tivù americana Oprah Winfrey) ma anche un motorino nascosto nella bicicletta. Avrebbe fatto ricorso al doping tecnologico. Insomma, mentre gli altri pensavano di usare la Ferrari, lui era già su Tesla, verso Marte, però.
Le dichiarazioni arrivano da un'intervista a France TV, dove Verdy è stato ospite per presentare l’immancabile libro "Doping: my war against cheaters" (la mia guerra contro gli imbroglioni, ndr). «Ha ricevuto un trattamento speciale – ha spiegato Verdy -. Molti mi hanno detto che non avrei dovuto attaccare le leggende, che mi sarei ritrovato da solo. Credo che avesse un motore sulla bici. Ho ancora in testa le immagini di una tappa di montagna dove lasciò tutti indietro. Alla fine della tappa chiamai tutti gli specialisti che conosco e loro non riuscivano a capire come fosse possibile una prestazione del genere, anche con l’EPO. Qualcosa non andava e tutti gli specialisti mi hanno detto la stessa cosa. Tutte persone dell’ambiente, che conoscevano bene la gara. Non era l’EPO a fare la differenza… ». Ma non sarà neanche questa intervista a cambiare la storia di Lance Armstrong. Se Dio vuole, quella è già più che chiara così.