Le voci di Enrico Ameri e Claudio Ferretti durante il programma Tutto il calcio minuto per minuto hanno raccontato 40 anni fa per radio (in tivù c’era il mitico De Zan) la magnifica vittoria alla Milano-Sanremo di Pierino Gavazzi, il secondo e ultimo successo bresciano nella Classicissima di primavera. Corsa all’epoca di domenica dopo la soppressione della festività di San Giuseppe, la classica monumento che apriva la stagione dei grandi appuntamenti di ciclismo doveva fare i conti con la crescente popolarità del calcio anche se lo «scontro» era ancora quasi alla pari.
Il finale. In viale Roma, stesso traguardo riproposto anche nell’edizione moderna (quest’anno non si sa quando e se si correrà per via dell’emergenza sanitaria mondiale), Gavazzi si presentò con un gruppetto forte di una trentina di corridori sui 230 che presero il via sei ore prima dal Castello Sforzesco di Milano al termine di una corsa tattica.
«I grandi si controllavano tutti - ricorda Pierino Gavazzi dalla sua abitazione di Provezze - ma nel finale si volava, facemmo il Poggio a tutta e io fui lesto a battezzare allo sprint la ruota di Moser».
Lo riteneva allora il più forte?
«No, semplicemente Francesco era solito fare una volata molto lunga, quindi l’ideale per uno sprinter puro come me per piazzare la stoccata vincente. Quel giorno fui io il campione. E pensare che quella corsa rischiai di perderla».
Perché?
«Volevo alzare le braccia al cielo, ma mi accorsi con la coda dell’occhio che avevo un corridore che stava rimontando alla mia sinistra. Scoprii poi che si trattava di Saronni».
Podio sontuoso. Gavazzi che difendeva i colori della Magniflex Olmo diretta da Franco Cribiori si mise alla sua ruota tutti i migliori dell’epoca. Detto del secondo posto di Saronni, vincitore l’anno precedente del suo primo Giro d’Italia, terzo fu l’olandese Jan Raas all’epoca campione del mondo, quarto il giovane irlandese Sean Kelly, fra i più grandi vincitori di classiche della storia, quinto il belga De Vlaeminck altro grande di questo sport, infine sesto Francesco Moser. Nella top ten di questa corsa anche un altro bresciano, Beppe Martinelli, nono, che quell’anno fu battuto ancora da Pierino Gavazzi nello sprint conclusivo del Giro d’Italia a Milano, il primo Giro vinto da Bernard Hinault.
Per la cronaca in quella Sanremo del 1980 ci fu spazio e gloria nelle battute iniziali anche per un altro bresciano, Angelo Tosoni, in fuga con altri due corridori, un italiano e un belga, ripresi poi all’inizio dei tre Capi che precedevano il Poggio (la Cipressa fu introdotta solo nel 1982). Pierino Gavazzi, detto anche la Peste perché sapeva mettere nel sacco i grandi campioni, quel giorno compì il suo capolavoro, la sua vittoria più prestigiosa, ma forse non la più bella.
«Indimenticabile resta due anni prima il successo al campionato italiano a Odolo, davanti alla mia gente - ricorda Gavazzi - quando battei Moser e Saronni che litigavano fra loro». Il terzo incomodo Gavazzi tuttavia fu protagonista del ciclismo professionistico per almeno tre generazioni, pro dal 1973 al 1992.
L’evoluzione. «Ho visto cambiare molto in quegli anni il ciclismo e oggi ancora di più, è quasi un altro sport. Oggi le squadre sono più numerose e l’attività è decuplicata, la preparazione è curata nei minimi dettagli, per non parlare delle bici e dell’abbigliamento, la competizione è poi esasperata. Vedo alcuni giovani interessanti affacciarsi alle competizioni, ma sono tutti stranieri. Il ciclismo italiano invece sta soffrendo, e poi questo coronavirus rischia di dare la mazzata finale. Speriamo bene, quanto a me, mi auguro solo di aver un briciolo di salute in più».
da Il Giornale di Brescia