Angelo Gabrielli, che fu terzo al Giro d’Italia del 1924, l’unica volta in cui gareggiò anche una donna, Alfonsina Strada. Ivo Mancini, che si laureò campione italiano e campione del mondo fra i dilettanti, ma che non sfondò tra i professionisti perché sfondato da una pleurite. Roberto Falaschi, che fu gregario di Astrua e Baldini, Poblet e Carlesi, Bitossi e Adorni. Guido Carlesi, che fu secondo al Tour de France del 1961, dietro soltanto a Jacques Anquetil. E Bruce Biddles, che lasciò la Nuova Zelanda perché s’innamorò del ciclismo, dell’Italia e di una vicarellese.
“U.S.Vicarello 1919-2019” celebra i primi cento anni di vita della società livornese: 118 pagine rettangolari per una storia rotonda, curata da Alessandro Marchi, stampata dalla Campano Edizioni di Pisa, ma composta da tutti quelli che hanno contributo, a forza di pedali, a scrivere imprese e miracoli, avventure e disavventure, sogni e illusioni, insomma, da tutti quelli hanno corso gare e qualche inevitabile pericolo. Da Gabrielli a Mancini, da Falaschi a Carlesi, da Biddle ai ragazzi che oggi corrono con la maglia biancoceleste.
Era il novembre 1919 quando fu fondata l’Unione Sportiva Vicarello, due mesi dopo la nascita di Fausto Coppi. Il ciclismo era lo sport più popolare perché apparteneva al popolo nei suoi protagonisti, nella sua semplicità, nei suoi valori, nelle sue visioni, anche nei suoi racconti. La passione era così forte che, negli anni Venti, i vicarellesi costruirono un velodromo interamente in legno. Qui si cimentò Costante Girardengo, il primo Campionissimo della storia del ciclismo, qui la gloria locale Vittorio Fagiolini sfidava in pista Learco Guerra, qui veniva Gino Bartali, anche quando smise di correre, qui emerse il pistard Fulvio Pampana, azzurro nella velocità, qui si illuminò Rolando Picchiotti, che poi sarebbe diventato professionista con la Gazzola e la Filotex. Qui, soprattutto, c’era gente che teneva in vita la società ciclistica: chi forniva le maglie, chi offriva le cene, chi riparava le bici, chi trasformava la propria auto in ammiraglia. Si distribuivano soprannomi: da “Superbone” (Italo Marcacci) a “Ciottolo” (Osvaldo Bini).
La Vicarellese era una famiglia allargata, eppure creò rivalità intestine. Come per quel Circuito di Collinaia a Livorno il 1° aprile 1962: una squadra di cinque corridori che “fanno” la corsa, in testa rimangono Dino Rossi e Franco Giovannetti, “su quel percorso Giovannetti è il più forte, però mai scaltro quanto Rossi. L’arrivo è rocambolesco. Giovannetti tira sempre a tutta; ai cento metri Rossi lo affianca e in tutte le maniere lo ostacola. Vince Rossi. La giuria emette il suo verdetto: retrocessione di Rossi al secondo posto e vittoria di Giovannetti. Ma la tifoseria si divide dando luogo a un brutto parapiglia. Fu necessario l’intervento delle forze dell’ordine. Fino alla fine dell’annata i due correranno con destinazioni diverse, vincendo lo stesso, anche se i due ragazzi fecero subito la pace”.
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