Quarantadue anni fa aveva deciso di smettere. “Era il 10 giugno. Giro d’Italia 1976, ventesima tappa, Vigo di Fassa-Terme di Comano, 170 km, con Manghen e Bondone. Fuga a due, io e Luciano Conati che, poveretto, non c’è più. Passo primo sul Bondone, e sarò l’unico italiano a essere passato primo su un gpm di prima categoria in quel Giro. Conati mi spiega che non può tirare, dietro ha i suoi capitani, e Gibì Baronchelli è in classifica. Così porto a spasso Conati per 70 km e lui, in volata, mi batte. Dopo le interviste, raggiungo il massaggiatore e gli dico: ‘Ti lascio la bici, mi cambio, metto i miei abiti, torno a casa, mollo il ciclismo’. E gli spiego: ‘Non è giusto, così’”.
Quarantadue anni dopo Enrico Guadrini (nella foto con Davide Martinelli), la bici non l’ha mai lasciata. Anzi: ne ha fatto casa e lavoro, sport e salute, eredità e testimonianza, una ragione di vita e una miniera di ricordi. Tra i 10 anni da professionista, poi quelli da direttore sportivo, infine – ancora e sempre – da ciclista, nel senso del negoziante e del meccanico, ma anche del pedalatore per passione, per necessità spirituale e fisica, i suoi racconti sono pezzi di storia e di teatro.
Il primo racconto: “L’ammiraglia della Molteni fonde, Eddy Merckx al rifornimento non ha nessuno e niente, gli allungo la mia sacchetta e gli dico di prendere quello che vuole, lui estrae solo una borraccia di acqua e una lattina di Coca-Cola, io insisto, lui rifiuta. Per me è finita lì. Invece la mattina dopo, alla partenza, Giorgio Albani, il suo direttore sportivo, si avvicina e mi fa: ‘Per quel gesto lì, per te la porta sarà sempre aperta’. Allora mi stupii, adesso mi commuovo”. Guadrini non chiese mai nulla, ma ci pensò Merckx.
Il secondo racconto: “Giro di Svizzera. Corro per i traguardi volanti, un po’ perché in squadra abbiamo corridori svizzeri, un po’ perché sono soldi, franchi svizzeri. E conquisto la maglia. Però la Brooklyn, uno squadrone, Franco Cribiori a dirigerlo, mi attacca. Ai meno 2 Merckx mi si avvicina e mi dice di prendergli la ruota, e fa una tirata che non finisce più, tant’è che ai 200 gli urlo, con quel poco fiato che mi rimane: ‘Eddy, siamo soli’. Lui e io, gli altri staccati. Allora lui si fa da parte e mi lascia vincere”.
Guadrini: detto “Calimero” da Ettore Milano, suo d.s. alla Zonca, perché gli bastava un po’ di sole per diventare nero, o detto semplicemente “Guadro” o “Quadro”, aveva Merckx così nel cuore da battezzare Eddy suo figlio. Il terzo racconto: “Incontro Merckx alla Fiera del ciclo di Milano. E sono lì con mio figlio. Allora prendo Eddy, che ha sette-otto anni, e lo porgo a Merckx, e gli dico: ‘Questo è il tuo bambino’. Lui lo prende fra le mani e lo fa volare”. Il quarto racconto: “Giro d’Italia, la tappa prima della Maielletta, sento José Manuel Fuente dire a Merckx: ‘Tu quando arrivi domani, io ho già fatto le premiazioni’. Pronti-via, la squadra di Merckx si mette a tirare come se non fosse domani, il gruppo si sfila, si sfilaccia, si spezza, si frantuma, dopo 60 km di Adriatica c’è già chi è a 10 minuti, E Merckx straccia Fuente”. Ma c’è anche una volta in cui… Il quinto racconto: “Giro d’Italia 1974, tappa Pietra Ligure-Sanremo, Merckx attacca, pensa di avere staccato Fuente, rimaniamo in una ventina, ma Fuente c’è, e quando Merckx se ne accorge, per la rabbia, in galleria pianta due frenate, noi inchiodiamo, forse qualcuno cade, fuori dalla galleria protestiamo, ‘Così non si fa, è antisportivo’”.
Così va la vita. Il sesto racconto: “Parigi-Nizza. Guardo Merckx e gli dico che pedala basso, quattro-cinque millimetri. Lui alza il bracco, chiama l’ammiraglia e cambia bici. Dopo quattro-cinque chilometri mi si affianca e mi chiede di guardarlo. Lo guardo e gli dico che è ok. Lui alza il braccia, chiama l’ammiraglia e ordina di regolare tutte le bici – ne aveva quattro o cinque – come quella su cui pedala”. Il settimo: “Un giorno Merckx mi dice: ‘Se mi arrivi davanti in salita, vuole dire che per me è ora di smettere. Al Giro del 1976 succede quattro-cinque volte. Fu di parola”. L’ottavo: “L’ultimo anno nella Zonca. Milano mi dice: ‘Ho fatto due conti, con il ciclismo non hai fatto i soldi, adesso devi rimboccarti le maniche e cominciare a lavorare’. E mi aiutò ad aprire il primo negozio”. Il nono: “I primi due anni da direttore sportivo con Dino Zandegù. La mia fortuna: lui a mangiare e bere, parlare e intrattenere gli sponsor, io con i corridori”. Il decimo: “La prossima volta”.
E “Calimero” va. Un pomeriggio al Giro d’Italia Under 23, lontano dall’officina e dal negozio di Casalmarano, non di più.
Marco Pastonesi
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