Tredici cotes, un dislivello che sfiora i 3000 metri, 273 chilometri: niente da dire, il percorso olimpico ha tutta l’aria di una grande classica. Lo affronteranno meno di novanta corridori, nel cuore di Parigi: ai Giochi, anche l’occhio vuole la sua parte. Il bello, cioè il brutto, arriverà alla fine: negli ultimi 110 chilometri ci sono nove degli strappi in programma, sei alle porte della città in rapida sequenza, gli altri tre con altrettanti passaggi su Montmartre, l’ultimo a dieci chilometri dall’arrivo, piazzato vicino al ponte Alexandre III. Assenti Pogacar, Vingegaard e Roglic fra stanchezze e malanni vari post Tour, a casa il campione olimpico uscente Carapaz per scelta della sua federazione, gli altri specialisti da classiche ci sono tutti. L’Italia non conquista una medaglia da vent’anni, l’oro di Bettini ad Atene: c’era riuscito anche il povero Rebellin a Pechino quattro anni dopo, ma l’argento gli fu tolto per un caso di doping cancellato dai tribunali ordinari e non da quelli sportivi.
Mathieu Van der Poel. Vince perché è il suo grande obiettivo stagionale, perché in assenza di Pogacar è il più forte di tutti su percorsi del genere, perché ha passato un Tour intero in preparazione dei Giochi. Non vince perché questa è una corsa anomala rispetto alle altre e non sempre dimostrarsi il più forte può bastare.
Remco Evenepoel. Vince perché gode di una salute strepitosa, perché è un altro che ha classe e forza per dire la sua nelle classiche, perché è di quelli che non ha bisogno di tanti compagni per riuscirci. Non vince perché dopo il terzo posto al Tour e l’oro nella crono il livello delle energie comincia a calare
Wout Van Aert. Vince perché anche lui sulle strade del Tour ha pensato più ad allenarsi che a spremersi, perché il podio nella crono è un segnale di ritrovata salute, perché dopo tanti piazzamenti merita finalmente di centrare un bersaglio grosso. Non vince perché con Evenepoel in squadra ha un ostacolo in più da superare.
Julian Alaphilippe. Vince perché correre sulle strade di casa è uno stimolo in più, perché i percorsi come questo sono quelli che esaltano le sue qualità, perché un oro olimpico sarebbe la ciliegiona su una carriera invidiabile. Non vince perché da quando in circolazione ci sono i fenomeni della nuova generazione fatica di più.
Mads Pedersen. Vince perché il percorso è di quelli che non lo spaventano, perché arrivando con un gruppo ristretto può contare su uno sprint brillante, perché dopo il ritiro al Tour ha potuto preparare meglio di altri questo appuntamento. Non vince perché non corre da un mese e questo potrebbe avere un po’ raffreddato il suo motore.
Alberto Bettiol. Vince perché è il miglior uomo da classiche che possiamo schierare, perché ha lasciato in anticipo il Tour per non consumare troppe energie, perché se azzecca la giornata buona può giocarsela con tutti. Non vince perché può contare solo sull’aiuto di Mozzato, visto che il terzo azzurro, Viviani, deve pensare alla pista.
Marc Hirschi. Vince perché è uomo perfetto per questi percorsi, perché si presenta a Parigi nella forma ideale, perché in questa stagione non si è tirato troppo il collo né ha dovuto sacrificarsi per Pogacar. Non vince perché esser bravi a restar nell’ombra non significa esserlo anche quando ti tocca il peso della corsa.
Jhonatan Narvaez. Vince perché ha il terreno ideale per farlo, perché ha puntato tutta la sua stagione su questo obiettivo, perché dopo esser stato preferito al campione uscente Carapaz non deve tradire la fiducia dei dirigenti ecuadoriani. Non vince perché non corre da un mese e mezzo e troverà sulla sua strada avversari che vanno a mille.
Michael Matthews. Vince perché è uno di quelli che sui tracciati misti non si stacca, perché esser rimasto coperto al Tour gli ha permesso di prepararsi al meglio, perché laddove non riesce con la forza ci arriva con l’esperienza. Non vince perché dopo il secondo posto alla Sanremo non ha più trovato il guizzo per andare a segno.
Tom Pidcock. Vince perché dopo il ritiro al Tour per sintomi da covid si è presentato ai Giochi nella forma ideale, perché aver bissato l’oro nella mountain bike gli ha dato ancora più morale, perché mai come stavolta è il leader della Gran Bretagna. Non vince perché il suo vero obiettivo era il fuoristrada e averlo raggiunto gli toglie un po’ di cattiveria.