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Ventisei anni, veronese di Negrar all’anagrafe e Cavalo di casa, scalatore. Uno e 75 per 57, 42 di piedi e 40 battiti a riposo. Alessio Gasparini è il primo corridore italiano ingaggiato in una squadra ruandese. E da domani, maglia arancione, dorsale numero 113, correrà il Tour of Rwanda, otto tappe, 840 km e dislivelli da elettrocardiogramma sotto sforzo.
Secondo di tre figli, Gasparini non è corridore per vocazione ma per scelta: “Tutti e tre avevamo cominciato con il nuoto. Mi allenavo nella stessa piscina di Max Rosolino e Federica Pellegrini. Ma avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro, mi sono stufato. E a 16 anni ho provato con la bici: altri paesaggi, altre avventure, altre emozioni, insomma tutt’altra musica. Avevo finalmente trovato il mio sport”. Il primo anno è coinciso con l’ultimo fra gli allievi, poi juniores e Under 23: “Finché nel 2021, con la Pregnana di Alberto Saronni - fughe, gpm, qualche risultatino -, ho giurato a me stesso che avrei provato a fare del ciclismo la mia vita. Non per arricchirmi, se non di esperienze. Poter girare il mondo, incontrare i corridori, scoprire i popoli, ecco”. Una sete di conoscenza, una fame di novità, una voglia di brividi: “Nel 2022 con la Jawa Kiwi Atlantico spagnola ma con licenza venezuelana, nel 2023 con la Retelec spagnola della Galizia, nel 2024 con la Sidi Ali marocchina, quest’anno con la May Stars ruandese. Correndo a Taiwan e nel Tibet, nel Sahara e nel Regno Unito, in Spagna e in Francia, quest’anno in calendario anche Slovenia, Giro del Marocco e Japan Tour. La più bella? Il Giro del Portogallo”. Vittorie zero, molte inseguite, alcune sognate, una sfiorata: “Al Giro di Taiwan. Tre in fuga, ai piedi di una salita attacco e me ne porto via due, io davanti e loro a ruota, quando stiamo per raggiungerli, ormai a poco dall’arrivo, io – stremato – mollo”.
Da quasi due mesi Alessio è ospite dell’Africa Rising Cycling Center, creato nel 2014 a Ruhengeri, 1850 metri di quota, vicinissimo al parco nazionale dei gorilla: “Ideale per allenarsi. Non esistono rotonde, non esistono semafori, non esiste pianura, o si sale o si scende, su e giù da 1500 a 3mila metri, e con la mountain bike si arriva anche a quota 4mila. Se Kigali, la capitale, è quasi una metropoli occidentale, il resto del Paese è ancora intatto. Foreste, laghi, villaggi. Qui bisogna fare molta attenzione ai bambini, che corrono e saltano dappertutto. E bisogna fare attenzione anche a chi va in bici, bici che sembrano aver fatto la guerra, e trasporta sacchi di patate da 100 kg, frenando con ciabatte dalle suole rinforzate con il battistrada degli pneumatici”. Qui si sente cittadino del mondo: “Il direttore sportivo è un eritreo, Aklilu Haile, l’allenatore è un ruandese, Gasore Hategeka. Quattro compagni sono ruandesi, uno di loro è stato selezionato perché faceva il ciclotassista e nessuno andava forte come lui portando persone o trasportando sacchi, gli altri formano una specie di Onu: uno spagnolo, un polacco, un greco, un israeliano, un camerunese… Fra noi parliamo inglese. E strada facendo, ho imparato a parlare anche spagnolo e portoghese”. L’ARCC ha privilegi imprevisti: “L’orto. Perché anche il clima è ideale: il sole, il caldo, poi ogni pomeriggio uno scroscio di pioggia. Tutto quello che mangiamo è freschissimo di giornata”.
Gasparini vive di continue sorprese: “Nell’officina dell’ARCC ho trovato bici italiane. Non Colnago e Pinarello, ma Olivieri e Chesini. Che strano, ho pensato, artigiani veronesi fino a qui. Poi una Grandis, la bici con cui ho iniziato a correre, di un altro artigiano veronese. Poi ho saputo che era stato un veronese, Carlo Scandola, a inviarle qui da volontario, da appassionato, da missionario, nei container”. E ancora: “Gasore ha organizzato una scuola di ciclismo. Un tracciato fra le capanne, semplicissimo. E bambini che pedalano su bici più grandi di loro”. Anche le prime due corse dell’anno sono state sorprendenti: “La prima il circuito di Kigali, 130 km, 2mila metri di dislivello, con una parte del percorso in programma ai Mondiali di settembre. Una corsa pazza, si correva élite, donne, juniores, ciascuna categoria con la sua distanza, ma tutti insieme. Tant’è che, quando in salita sono scattato, gli organizzatori mi hanno fermato perché c’era l’arrivo degli juniores. A quel punto, nella confusione, ho preferito rimanere davanti, ma nel gruppo”. Sedicesimo. “La seconda un criterium sempre a Kigali, 50 minuti poi gli ultimi tre giri intorno allo stadio Amahoro, ho attaccato, e quando sono stato ripreso, mi sono dedicato a tirare la volata a un compagno”. Quarto (il compagno).
Domani il cronoprologo allo stadio Amahoro, 4,1 km. Per Gasparini “ogni volta è come la prima volta”. Adrenalina ed endorfine. Scoperta e conoscenza. A cominciare da sé stesso.