Tralasciando quel che sarebbe stato il Giro d’Italia senza di lui e quella che è stata la modestia dei suoi avversari, resta che Pogacar ci ha offerto squarci di immenso valore, non solo sportivi, ma, e vorrei dire soprattutto, per come il Campione interpreta il ruolo, lasciando tracimare insieme al sudore della prestazione, il rispetto per quanti accorrono a vederlo e l’intreccio profondo e sensibile con chi nel ciclismo mette passione, aspirazioni e sogni. Valga per tutti e per tutto l’affascinante dono della borraccia al bambino che gli corre a fianco sul Grappa.
Ma quando mai si sarebbe potuto immaginare che un atleta di quel livello, alla conquista di quel risultato, sottoposto a quello sforzo e a quella concentrazione, trovasse anche l’attimo per cogliere, condividere e premiare il cuore di quel bambino, con tutto quello che ciascuno di noi può immaginare ci stesse dentro, facendolo pompare insieme ai nostri oltre ogni soave immaginazione.
Eppure così è stato: il migliore spot che si potesse pensare per la promozione del ciclismo tra i giovani, ragazzi e ragazze, bambini e bambine, facendo comprendere quanto “quel mondo” sia anche il loro e per loro, di intrinseca attualità, un esteso spazio per pedalare tra sogni, aspirazioni, modi di imparare la vita.
Per Pogacar, quasi una costola di quello che già da alcuni anni sente e avverte di dover far sentire col suo personale impegno per la diffusione del ciclismo nella sua Slovenia, attraverso progetti scolastici e il sostegno economico personale a formazioni giovanili. Una rarità per un Campione così giovane!
Quel regalo della borraccia però, oltre ad aver inumidito gli occhi di tanti genitori e nonni, chiama a riflettere sul come il ciclismo può e deve essere proposto ai giovani, oltre le modalità che conosciamo, che anche al Giro non mancano, vedi ad esempio Biciscuola e i Workshop dell’Anci, ma che ancora non bastano. Cose serie, insieme ad altre conosciute, ma che sul piano della comunicazione sembrano non “bucare” per davvero l’animo, l’emotività e la fantasia dei bambini e delle bambine, la cui “antenna” percettiva risulta anni luce diversa da quelli dei cosiddetti boomer, che pure sono l’attuale classe dirigente.
Per gli amanti del ciclismo, legittimo compiacersi di quel gesto della borraccia data da Pogacar al bambino, col casco in testa e una maglietta “antagonista”, icona anche della sportività vera, ma insieme a questo, e proprio per l’illuminazione di quel gesto, forte deve essere il desiderio di rilanciare la ricerca sulle modalità comunicative e operative per garantire a questo sport il futuro che merita.
Io ne propongo una: alla partenza delle corse di maggiore audience, in particolare le tappe dei grandi Giri, schierare davanti alla prima fila, quella dei migliori corridori, una analoga fila di bimbi e bimbe a cavallo delle loro piccole bici, con le magliette delle loro società o dei Campioni da emulare o di chi è in testa alla varie classifiche, perché siano ripresi dai media e significativamente resi testimoni di un ciclismo che nasce dai “piccoli” e che ogni giorno “innaffia” le sue radici senza separatezze nel percorso della sua crescita.
Non è cosa straordinaria, né complicata da fare. Forse apparentemente banale, Ma tra il farla e non farla, la differenza potrebbe essere enorme.
P.S. Di Pogacar non si può scrivere senza ricordare anche la sua squisita disponibilità verso tutti quanti operano nell’organizzazione della corsa, tra i quali, a me cari, i motociclisti addetti alla sicurezza.