Non c'è come girare l'Italia per capire cosa sarebbe l'Italia senza il Giro d'Italia. Certo, si parla della festa popolare e della gara sportiva. Ma ultimamente, sempre di più, della pura e semplice strada.
Ce ne siamo accorti tutti, sulla propria pelle, sui propri ammortizzatori, chi va in auto e più di tutti chi va in bici, ce ne siamo accorti bene di come siano ridotte negli ultimi anni le strade d'Italia. Non faccio per niente del catastrofismo se ricordo le strade bombardate, i tombini profondi una spanna (che obbligano il ciclista, anche il più prudente, a scartare verso il centro, così da essere stirato meglio, di spalle), i rilievi e gli avvallamenti delle radici d'albero, eccetera eccetera.
In questo scenario lunare, il Giro è sempre di più il termometro che misura la temperatura. Sempre più alta, sempre più preoccupante. Un tizio sbarcato da Marte potrebbe dire subito, candidamente: ma con tutti i soldi arrivati dal PNRR, perchè non avete fatto un piano per sistemare questo fondamentale del Paese, le semplici strade? Bravo, il marziano. Ma qualcuno gli dovrebbe pur dire che siamo in Italia, e in questo strano luogo tutti quei soldi ci servono per ben più urgenti priorità, gli incentivi per i monopattini, il bonus facciate. E in tema di infrastrutture, abbiamo altro per la testa, faccia il piacere, il marziano: si levi dai piedi con le sue stupide domande e ci lasci lavorare, che dobbiamo tirare su il Ponte sullo Stretto.
Qui al Giro, storicamente, tra le tante certezze della tradizione figurano certamente in primo piano le famigerate “Strade del Sud”. Iconiche, direbbe il bravo influencer. Il problema è che questo luogo comune negli ultimi anni si è allargato, è diventato un luogo totale, il Sud è arrivato al Nord, proclamando nei fatti una vera unità nazionale. Pedalare al Nord, ormai, è come pedalare al Sud. Anzichè rifare le famigerate “Strade del Sud”, abbiamo distrutto quelle del Nord, così la finiranno una buona volta di frignare su questo dannato gap tra Settentrione e Meridione.
E il Giro? Col passare del tempo, il Giro è ormai diventato l'ultima speranza, la mossa della disperazione, per mettere giù un po' di asfalto. Per molti comuni, per tante città, è l'occasione imperdibile: dove arriva il Giro, anche perchè il Giro lo richiede espressamente, la strada dev'essere decente. Ovviamente in generale, perchè non è pensabile che il Giro rifaccia il manto stradale di tutta una nazione. Lo dimostra il fatto che in tanti tratti, inevitabilmente, la strada resta sconnessa, vedi l'altro giorno scendendo verso Napoli, dove le radici in rilievo hanno fatto saltare corridori e ammiraglie come tarantolati.
Colpa di Vegni e del Giro? Non scherziamo. Vegni può avere mille colpe, ma questa proprio no. A dirla tutta, Vegni meriterebbe la medaglia al valor civile, perchè quanto meno dove porta il Giro ci porta pure l'asfaltatura. Credo lo possano confermare tante comunità locali d'Italia, che una mattina si ritrovano la strada da anni martoriata come un Vietnam, quando il Vietnam era il Vietnam, improvvisamente tirata come un biliardo.
Colpa di Vegni se ogni tanto si finisce in qualche tratto dissestato? Lo incrocio alla partenza di Pompei e glielo chiedo direttamente, scusi direttore, ma che dice delle strade? Un fiume in piena: “Ragazzi, io mi prendo le colpe che ho, accetto tutte le critiche, ma di questa situazione sono vittima, non carnefice. Se la gente pensa che il Giro possa riasfaltare tutta Italia, è fuori strada. In realtà, questo è un grosso problema del Paese. Un problema che andrebbe affrontato decisamente. Eppure, sistemare l'infrastruttura Strade non compare mai tra le priorità. Poi tocca a noi metterci una pezza, quando arriviamo”.
E' così che nasce un'Italia tutta particolare: l'Italia che aspetta l'arrivo del Giro per asfaltare le strade. Un'Italia diffusa, capillare, disperata. L'esempio chiarisce sempre meglio: dopo la resurrezione del Giro di Sicilia, stessa organizzazione, Vegni è continuamente richiesto di tornare in qualunque modo. Grazie a quella corsa si contempla il miracolo: chilometri e chilometri di strade sfasciate improvvisamente rinate a nuova vita. E sei milioni all'anno per cinque anni destinati all'asfalto nuovo.
Così siamo messi: dove non arriva l'Italia, deve arrivare il Giro d'Italia.