Chissà se col recente inserimento dello sport all’articolo 33 della Costituzione avranno pensato che però il ciclismo ne doveva rimanere fuori. E che per il ciclismo poco valga il richiamo dell’articolo 3, laddove ancora è scritto «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale… ».
Chissà anche fino a che punto sia ancora valido un articolo 9 del codice della strada che prevede che le autorizzazioni per le competizioni su strade pubbliche siano concesse a titolo non oneroso.
Dubbi non peregrini, quando si osserva che un territorio come quello forlivese, ha preso, in particolare quest’anno, a pretendere soldi per ospitare gare ciclistiche o anche il loro semplice transito, minacciando addirittura, con sprezzo giuridico, di non considerare valida l’autorizzazione anche se non di sua competenza.
È il caso dell’Unione Romagna Forlivese, che in rappresentanza dei suoi 14 Comuni della zona montana, va chiedendo somme cospicue di denaro per i servizi di Polizia Locale connessi all’impiego dei propri agenti in occasione delle gare ciclistiche.
Un dovere istituzionale, che però si pretende venga pagato dagli organizzatori, ritenendo queste manifestazioni di carattere privato, come fossero concerti a pagamento, quando il ciclismo, secondo sport nazionale, per larga parte obbligato al transito sulle strade pubbliche, è fondamentalmente una attività gratuita, aperta a tutti, di straordinaria valenza per la promozione turistica ed economica dei territori interessati. Gare messe in piedi essenzialmente da società dilettantistiche che non hanno (non possono avere) scopi di lucro e che si arrabattano tra mille difficoltà pur di tenere in piedi un movimento sportivo di assoluto valore e necessità.
Per una normalissima gara ragionale Juniores quale il “G.P. Città di Predappio-Memorial Monica Bandini”, l’Unione Romagna Forlivese ha incassato dagli organizzatori una cifra di 1.200 euro e oltre 2.000 per la tappa Forlì-Forlì del Coppi&Bartali.
Per l’arrivo a Castrocaro del Giro della Romagna, ne sono stati chiesti oltre 5.000, non ancora saldati per il ricorso presentato dagli organizzatori. Da ultima la Granfondo Nove Colli, con una richiesta poco sopra i 1.000 euro per un semplice transito risolvibile in meno di una mattinata, a cui gli organizzatori anche in questo caso si sono opposti.
Intendiamoci: nessuno è tanto sciocco da non capire che la “coperta è corta” anche per gli enti locali, che il personale di polizia merita di essere trattato secondo i contratti di lavoro, che i Comuni devono rispettare i loro regolamenti interni, ma di qui a stabilire comportamenti che negano la possibilità di fare ciclismo di differenza ce n’è tanta, troppa perché la materia venga lasciata alla gestione di singoli Comuni o di singoli comandanti di polizia locale, come il bene pubblico dell’attività sportiva non avesse alcun valore.
Per giunta, somme richieste in modo riassuntivo, senza la specifica di calcolo, dove è deciso in modo unilaterale il numero degli agenti da impegnare, senza nessun confronto con l’organizzatore e senza attendere gli esiti dei possibili “tavoli tecnici” dove presso le prefetture, l’organizzatore, il questore e i vari comandi di polizia, possono concertare come realizzare il presidio del percorso di gara e come suddividerlo tra Forze di Polizia e volontari. Tenendo altresì conto di quelle che possono essere le criticità di alcuni Comuni.
Quanto avviene nella zona dell’alto forlivese, al di là delle possibili considerazioni di diritto amministrativo e autonomia degli enti locali, non è più tempo di considerarli fatti straordinari, contingenti o limitati, bensì una ormai insopprimibile questione di principio, perché se tutti i territori dovessero decidere di adottare ciò che legittimamente ritiene di poter adottare l’Unione Romagna Forlivese, chi sarebbe più in grado di organizzare gare ciclistiche?
Non solo in Romagna, ma ovunque, perché anche in altre regioni (Lombardia, Veneto, Toscana, ecc.) qua e là, ci sono di queste richieste che gli organizzatori subiscono “obtorto collo” senza che nessuno le denunci in modo adeguato.
Su questa questione, che in prospettiva potrebbe di fatto negare il diritto al ciclismo su strada, va tolto il velo per affrontarla nel modo più intelligente possibile. È compito degli organizzatori e della Federazione Ciclistica Italiana fare squadra per ottenere la giusta considerazione da parte delle amministrazioni e delle istituzioni interessate, dai singoli assessori locali fino al Governo se necessario.
Ma lasciarsi morire per asfissia, questo proprio no!