Ci sono tanti motivi per cui quella conseguita oggi da Alessandro De Marchi può essere considerata una vittoria speciale. Con il primo posto conquistato a Stans infatti, il corridore friulano, è diventato il secondo corridore più anziano nella storia del Tour of the Alps a far sua una frazione, il primo italiano a portare a casa un successo parziale dal 2021 (Gianni Moscon) e, soprattutto, è tornato ad alzare le braccia al cielo 924 giorni dall’ultima volta.
Se a questo aggiungiamo che la figura del “Rosso di Buja” è una delle più rispettate e apprezzate in gruppo e fuori, si comprende perfettamente l’entusiasmo palesato dal pubblico e, anche, dagli addetti ai lavori per il suo trionfo, un trasporto di cui il portacolori della Jayco-Alula ha parlato in questa maniera.
«Sapere che gli avversari reagiscono in un certo modo a ciò che faccio è una cosa che ti lascia felice, è bello sapere di essere apprezzato per quello che sei e quello che fai, non è una cosa da poco, quindi sono contento. Forse sono uno dei più vecchi e quindi forse uno dei più legati a un ciclismo che non dico che non ci sia più ma che difficilmente si ritrova nel 2024. Questo è ciò che forse fa dire a un massaggiatore di un’altra squadra “sono contento che abbia vinto De Marchi”. Poi penso fondamentalmente che sia anche solo perché all’interno del gruppo cerco di portare rispetto per tutti, di essere educato e non essere solamente assetato di vittorie o di fughe. Ho sempre evitato di arrivare a quel tipo di agonismo e dietro a quelle reazioni forse c’è anche questo tipo di motivazione».
Un insieme di fattori dunque è ciò che spinge ad apprezzare le vittorie di De Marchi, un corridore che ha fatto del coraggio, della perseveranza e della fuga suoi indiscutibili marchi di fabbrica e che, quando attacca, lo fa anche in base alle proprie sensazioni come dimostra il vittorioso tentativo odierno.
«Avevo la sensazione che potesse essere una giornata particolare, sentivo qualcosa. Ieri in camera con Zana, avevo detto che oggi avrei provato ad andare in fuga perché ho bisogno di fare certi sforzi e perché sentivo poteva essere una tappa strana vista la situazione di classifica e il percorso non così facile», ha svelato Alessandro, sempre pronto, ieri come oggi, a lanciarsi in avanscoperta e ad affrontare col medesimo piglio qualsiasi tipo di evento, una mentalità questa su cui, non è un segreto, egli ha costruito la base dei propri successi e della sua reputazione da corridore.
«Sulle vittorie che ho ottenuto, posso dire che mi comporto allo stesso modo alla Tre Valli, al Tota o al Giro. Il livello quindi potrà cambiare, potranno esserci gare più difficili di altre ma il mio atteggiamento sarà lo stesso, Se una gara mi piace, le cose sono tutte in fila, io ci provo. E di questi tempi ormai, forse, tutta questa differenza tra le gare non la si vede perché anche le gare minori richiedono un livello di performance assolutamente elevato. Se questa fosse l’ultima vittoria? Andrebbe benissimo, sicuramente non sarà l’ultima che proverò a conquistare. Non è la vittoria comunque ciò che mi muove (ne ho così poche rispetto ai tentativi che faccio) ma sicuramente cercare di fare ciò che mi piace, in questo caso correre in questo modo. Poi ovviamente quando inizi a vincere e a far emozionare le persone che ti sono vicine è ovvio che puoi non essere soddisfatto quando non ci arrivi vicino, però oggi se mi avessero ripreso sarei andato a dormire fiero e non dico felice come se avessi vinto ma comunque felice. Finché avrò il fisico ma anche la mente per provare a correre in questa maniera lo farò».
La speranza, per tutti, è che il suo esempio, la sua esperienza e le sue parole possano, se non diventare punti di riferimento, almeno smuovere qualcosa in qualcuno dei corridori della nuova o delle prossime generazioni, tanto in Italia quanto fuori da essa. Sull’argomento De Marchi ha un’idea piuttosto chiara ed in maniera altrettanto limpida non si fa problemi ad esporla.
«In Italia è sicuro che non possiamo continuare a paragonarci a quelli che eravamo a anni fa, siamo in un altro contesto. Le cose sono necessariamente più difficili rispetto a qualche anno fa. Detto questo, il fatto che io sia qui continuando a fare ciò che ho fatto praticamente tutta la carriera è il segnale che, se ti prepari come sappiamo, arrivi a un punto oggi raggiungibile da tutti e che ciò che viene dopo forse dipende dal carattere, dall’aver coraggio, dal saper rischiare. Mi sento di dire che è questo ciò che manca in generale ai giovani, non solo agli italiani. Al giovane che non è Remco forse molte volte manca questa fame, questa capacità di dire “rischio e poi si vedrà”. Corridori come me che faticano e che vanno ce ne sono tanti e l’ho notato provando ad andare in fuga stamattina. Perciò, se prima insistere era già qualcosa di necessario, adesso bisogna farlo e tener duro ancor di più. Forse ciò che manca e ci siamo dimenticati di insegnare nelle categorie giovanili è proprio questo, ovvero provare, provare, provare».
E dopo aver provato non ci si deve comunque dimenticare degli altri, di essere circondati da compagni i quali, provando a loro volta (magari col proprio supporto), potranno regalare a te e alla tua squadra le stesse gioie e le stesse soddisfazioni. È così che domani, senza alcun tipo di problema, De Marchi «ritornerà nei ranghi, recupererà dalle fatiche» e «si concentrerà» sugli altri uomini Jayco e, in particolare, «su Harper che è un’ottima pedina per la classifica generale» ma anche un ragazzo che potrebbe rendere il Tota della formazione australiana, e quindi anche del nativo di Buja, ancora più speciale.