Mi resta un dubbio: se in quella curva non fossero caduti Vingegaard, Evenepoel e Roglic, ma magari Tizio, Caio e Sempronio, tre gregari qualunque, sarebbe comunque esploso tutto questo fungo atomico? Mi tengo la risposta per me, preferendo tenermi il buono della penosa vicenda: parlare di sicurezza non è mai tempo sprecato. Non è mai abbastanza. Però senza esagerare. Questo va detto.
Da che mondo e mondo, il ciclismo è sport pericoloso, da mezzi kamikaze. O interi. Ricordo che questo era un tormentone di Cipollini, quando ancora correva, gli va dato atto: nelle conferenze stampa dopo la vittoria più e più volte dedicava un minuto a questo pensiero, signori, lo sport più pericoloso del mondo non è la Formula 1, è il ciclismo. Concordo. Da sempre. Lo è non solo in gara, ai livelli massimi: lo è anche quando io esco dal box e vado a farmi la pedalata del buontempone.
Detto questo, aggiungo che diventa poi molto infantile star qui ogni volta a spaccare il capello in quattro sul singolo tratto che sparge sangue e fratture: torno a dire, dobbiamo pretendere il massimo della sicurezza, ma senza esagerare, senza sparare fesserie, perchè pensare di rendere sicuri 200 chilometri di ogni gara è un'idea da delirio. Senza aggiungere che poi certi incidenti gravissimi si registrano nei tratti più dritti e più sicuri. Così, tanto per non dimenticare.
In queste ore penso molto all'incredibile e feroce destino della Visma, fino a pochi mesi fa l'armata invincibile, oggi un cumulo di ruderi che ispira solo tanta pietà umana. I due grandissimi, Van Aert e Vingegaard, azzoppati da infortuni curiosamente molto simili, clavicole e costole, a dividerli soltanto lo sterno, che fortunatamente è rimasto integro in Vingegaard. Cosa aggiungere: soltanto che questa squadra merita il tifo e l'affetto anche di chi sportivamente l'ha odiata, perchè sulle disgrazie non c'è rivalità che tenga, diciamo anzi forza Vingegaard, tieni duro e dacci dentro, al Tour puoi e devi esserci, ti aspettano anche i tifosi di Pogacar, forse più di tutti, perchè è gente che non ama le mezze vittorie, le vittorie facili, ma vuole la vittoria piena, contro il più forte, altrimenti che vittoria è.
Oltre lo choc Visma, oltre tutto, vorrei però buttare lì sul tavolo delle discussioni un'idea che mi frulla da tempo. Sintetizzando, questa: va bene la colpa dei materiali, va bene – nel senso che va male – persino la colpa degli organizzatori, ma non è che scavando più a fondo il vero motivo – la radice più nascosta e profonda – di questa ecatombe degli ultimi tempi sta nella morte della paura?
Provo a chiarire: la paura nei tempi di machismo spinto, di mito del superuomo e del supereroe, è vista come un limite. Come una vergogna inconfessabile. Ma da quando è nato il mondo, i saggi di tutti i tempi l'hanno sempre considerata un pregio, un vantaggio, una virtù. La paura, quando è immotivata e fuori controllo, davvero può limitare la vita degli uomini. Ma in sé è una grande alleata, una risorsa molto preziosa. La paura ci fa stare sempre in guardia, la paura ci fa calcolare i rischi, la paura ci fa vedere i nostri limiti. La paura vera ci guida, non è un limite. E' un valore aggiunto.
Purtroppo, queste ultime generazioni sono cresciute senza paura, gliel'hanno presentata come una debolezza e gliel'hanno abolita sin dall'infanzia. Crescono persino dentro videogiochi in cui la paura non è prevista, e anzi il coraggio – malinteso – ti premia fino ai massimi livelli. Senza limiti da mammoletta, si ammazza e si distrugge, si compiono imprese e gesta immani. Non sono contemplati un senso di autocontrollo e una prudenza minima. Ne sono previsti di più nel Monopoli. Nessuna paura, il rischio non esiste, al massimo si resetta e si torna da capo. Gratis, che ci vuole?
Tornando a bomba: purtroppo oggigiorno vediamo in gara una tale leggerezza, una tale distrazione, una tale disinvoltura, che davvero viene da chiederci se questi giovani provino ancora paura. La paura positiva, ovviamente, la paura che consiglia, la paura che governa i nostri istinti e le nostre pulsioni più folli e spregiudicate.
Ci si capisce: troppa paura non va bene, nel ciclismo moderno. Ma un po' di paura aiuterebbe molto. Per stare più attenti, per frenare qualche volta in più, magari anche per stare un attimo indietro, per trovarsi poi sani e lucidi un chilometro in là.
Mi sforzo di pensare che tra tanti discorsi sul cerchio in carbonio e il freno a disco ci sia ancora spazio per parlare di questo. Le squadre pullulano di motivatori e di psicologi. Mi chiedo se parlino mai della paura. Sono sincero: ho paura che alla fine daranno del demente a me, che nel 2024 ancora parlo di paura.