Ciao Giancarlo, sono quattro anni esatti che te ne sei andato, era il 31 marzo 2020, ma non credere che ti abbiamo dimenticato. Te ne sei andato nel modo peggiore, ucciso dal Covid, per giunta senza neppure la consolazione che quel drammatico passaggio avrebbe insegnato qualcosa di serio a chi rimaneva. Pensa, quelli che allora lamentavano fossero eccessive le misure prese per fronteggiare la pandemia, adesso hanno addirittura istituito una commissione parlamentare per indagare sul perché allora non fu fatto di più.
Molti di noi si sono salvati grazie al sistema sanitario pubblico, che seppure con le sue storture e insufficienze, ha comunque retto un argine prima del baratro, ma neppure questo ha insegnato qualcosa. Adesso sulla sanità si fanno meno investimenti lasciando che il settore volga progressivamente al privato. A scapito di chi, non te lo devo spiegare io, visto che nella tua vita hai fatto per tanto tempo anche il sindacalista. Se poi a questo aggiungo il ricordo degli oltre 100 medici in pensione che si sono immolati rientrando volontariamente in ospedale per dare una mano ai colleghi stremati dalla catastrofe, beh, allora il mio disagio è ancora più forte.
Disagio prossimo allo smarrimento, come quando penso a quel che succede a Kiev e a Gaza, dove, al di là dei torti e delle ragioni, insieme all’orrendo dramma dei tanti morti, emerge il dramma, per certi versi ancora più orrendo, di una classe politica mondiale che sa solo pensare o farsi trascinare alla guerra, senza un solo statista, degno di questo nome, che sappia e abbia il coraggio di costruire la pace. La pace la si fra tra nemici, ma questi non l’hanno ancora capito.
Ci sta provando il Papa, ma non lo prendono sul serio. Può essere che alcune sue affermazioni sul colore bianco, inteso come possibile resa, meritino i giusti distinguo, ma un dato è certo, di questo passo si avvicina la resa più autentica: quella del non sapere come evitare la terza guerra mondiale.
Scusa Giancarlo, sto divagando. Ero partito per farti un normale saluto e poi mi sono lasciato prendere la mano. Un po’ come quando ci incontravamo dopo qualche iniziativa sul ciclismo, dove la tua formazione politica e la tua effervescenza culturale, ti inducevano a parlare di tanto altro, con quella tua passione per l’antropologia, che ti ha spinto poi al conseguimento di due lauree una volta smessi i panni del presidente della Federazione Ciclistica Italiana.
Eh, si, un presidente appassionato che ha dato senza chiedere nulla per sé. Un autentico “intruso” per quanti hanno sempre preferito un ciclismo inneggiato da buoni propositi di cambiamento, ma poi governato da dirigenti immancabilmente scelti per gruppi di interesse, per cordate di salvaguardia, per difesa di posizione, per convenienza di scambio, senza mai segnare una vera soluzione di continuità.
L’autonomia di pensiero e il rigore etico che ti è appartenuto, non ha prodotto il sedimento sperato. Ma c’è anche chi, osservando dove non sei riuscito a fare, ha capito che hai insegnato tanto per come provare a fare.
Martedì scorso, a Pianengo, il tuo paese, il sindaco ha voluto ricordarti con una bella iniziativa pubblica a cui hanno partecipato molti di quelli che ti sono stati vicini. Pensa, una platea composta solo da chi ti ha stimato o voluto bene veramente. Nessuna presenza per obbligo o ipocrisia di ruolo, come si conviene quando il rispetto è sincero.
Caro Giancarlo, non aggiungo altro, concedimi solo di congedarmi ricordando che sei stato il primo presidente federale a mettere nel suo programma elettorale il tema della sicurezza. Non solo: lo hai portato avanti con coerenza realizzando condizioni rimaste pilastri fondamentali per tutto quello che è venuto dopo! E darti una mano è stato un onore.
Un abbraccio
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