“Il trucco è guardare la strada davanti a sé”. Sen insegna a Omar ad andare in bicicletta. “Ne avevano una sola, in casa, da femmina, arrugginita e della misura sbagliata: l’avevano trovata vicino a un cassonetto e se l’erano portata via; l’avevano sfregata con la carta abrasiva, avevano chiesto al vicino una pompa per gonfiare le ruote e Sen aveva cominciato a usarla”.
Sen e Omar sono due dei protagonisti di “Mi limitavo ad amare te” (Feltrinelli, 352 pagine, 19 euro), il libro con cui Rosella Postorino ha sfiorato il Premio Strega nel 2023. Da bambine e bambini a ragazzine e ragazzini, da ragazze e ragazzi a donne e uomini, da figlie e figli a padri e madri. Da Sarajevo, sopravvissuti alla guerra, all’Italia, adottati, adattati, integrati, perfino incarcerati.
“Omar era più piccolo di lui, ma era ora che imparasse”. In assenza del padre, ci aveva provato la madre. “Un pomeriggio era uscita sul marciapiede e aveva detto “Sali, datti la spinta sul pedale, poi basta andare dritto”. Eh no. “Teneva la schiena curva e mani sul portapacchi per reggere la bici. Appena Omar era partito, la madre aveva mollato la presa: per la paura, lui aveva perso il controllo del manubrio e continuando a zigzag era caduto. Ti ho detto dritto, perché non mi ascolti?”.
Ci vuole pazienza. Ma tanta. “Un giorno che la mamma era uscita, Sen aveva avuto un’idea, aveva smontato i pedali con una chiave inglese rimasta sotto il letto in una vecchia cassetta del padre. Adesso, Omar, sali su e cammina come un gigante”. Poi gli aveva dato l’esempio. “Sopra il sellino, Sen si era dato lo slancio con i piedi sull’asfalto, li sollevava e poi atterrava di nuovo, imitando i passi enormi di un gigante. Vedi? Così”.
Così Omar aveva provato a imitare Sen. Finché, camminando come un gigante, ce l’aveva fatta. Allora “Sen aveva rimontato i pedali uno alla volta ed era corso in casa a prendere una coperta”, “L’avevano piegata insieme per lungo fino a renderla tubolare, poi lui l’aveva avvolta attorno alla pancia di Omar e aveva intrecciato i due lembi per creare una specie di corda, spessa e resistente”.
E adesso pedala. “Omar pedalò. Per due metri almeno procedeva sereno, poi, quasi per la meraviglia che le ginocchia si flettessero in automatico, bloccava la bici, che si inclinava. Ma da dietro Sen tirava la coperta: Ti tengo. La schiena del fratello di nuovo tesa, lui la sentiva salda nella sua stretta” e “guarda dritto davanti a te, non abbassare lo sguardo, non guardare il manubrio o la ruota, guarda la strada che farai, è questo il trucco, la strada che farai”. E dai e dai, Omar ce l’ha fatta.
“Mi limitavo ad amare te” è un romanzo profondo e commovente, nudo e struggente, meraviglioso. Un po’ come quella bicicletta che a Omar, all’improvviso, magicamente, sembra “un tappeto volante, un grande aquilone, un uccello esotico, o preistorico, il magnifico esemplare di una specie sconosciuta – volteggiava lieve nell’aria, tanto che persino Sen l’aveva scambiato per un misterioso messaggio proveniente da un mondo lontano, dal Paese dei Giganti”.
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