Masomah Alizada con la sua bici di strada ne ha fatta tanta da quando è scappata dall’Afghanistan nel 2016: in Francia ha potuto costruirsi una nuova vita, ma allo stesso tempo non ha dimenticato la sua terra e tutte quelle donne che sono costrette a vivere nell’ombra.
Masomah nel 2021 ha realizzato il sogno olimpico e sotto la bandiera dei rifugiati del Cio è volata fino a Tokyo, dove ha preso parte alla gara a cronometro. Oggi la piccola regina di Kabul si trova a Glasgow, in Scozia, per partecipare ai Mondiali di ciclismo su strada e ancora una volta per farlo ha scelto i colori dei rifugiati. Nei giorni scorsi la giovane Alizada ha ricevuto un riconoscimento importante e il premio le è stato consegnato direttamente da David Lappartient, presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale.
«È stato molto importante per me ricevere questo premio dall’UCI - ha raccontato Masomah – Questo premio non è solo per me, ma è anche per tutte quelle donne che oggi vivono ancora in Afganistan e non hanno diritto di fare sport e di studiare. Io mi sento e sono, una fonte di ispirazione per loro».
La ragazza scappata dall’Afganistan 7 anni fa insieme alla sorella, faceva parte di quel primo gruppo di donne che per rivendicare la propria libertà aveva deciso di correre in bici, sfidando la chiusura di un popolo, convinto che una donna in bici fosse impura. «In Afganistan ci sono tantissime ragazze che amano lavorare e fare sport e hanno potenzialità ed energie, ma non hanno il diritto di farlo. Spero che un giorno le cose cambino. Io ora sono qui a Glasgow e ho ricevuto questo premio e sono così felice perchè l’UCI ci aiuta ogni giorno ovunque».
Masomah ha preso parte anche alla granfondo che si è tenuta a Glasgow ed è stata contenta di poter correre in mezzo a tanta gente proveniente da tutto il mondo e con la bandiera dei rifugiati ha voluto portare un messaggio di libertà importante.
«Ho corso 160 km nella granfondo ed ero felicissima. In Afghanistan dicono alle donne di non essere capaci a fare grandi cose, che non sono forti. Ma io ho fatto 160 km e ho finito la gran fondo e ho dimostrato che le donne afgane possono fare grandi cose e superare le difficoltà. Da noi non vogliono che le donne crescano e migliorino e ci ripetono sempre che non siamo capaci, che non sappiamo fare, non siamo forti. Ma quando io ho finito la gran fondo, ho dimostrato di essere capace a sopportare un grande sforzo. Anche in Afghanistan se ci venisse data la possibilità saremmo in grado di fare grandi cose».
Masomah ha scritto un capitolo importante nella storia dello sport, perché è stata la prima donna afgana a partecipare ai Giochi Olimpici. «Io sono stata la prima donna dell’Afghanistan ad aver disputato le Olimpiadi nella storia e ne sono orgogliosa, perché per molte donne è difficile fare qualsiasi cosa. È sempre stato un sogno per me fare le Olimpiadi, ho rappresentato la mia nazione e la squadra dei rifugiati mi ha permesso di riuscire a realizzare questo mio grande desiderio. Ho dimostrato che alla fine ogni sogno si può realizzare, si deve lavorare tanto e superare tutte le difficoltà e i problemi, ma dobbiamo continuare a lottare e avere speranza nel futuro».
Oggi Masomah vive in Francia, dove è stata accolta da diversi anni e studia ingegneria all’università di Lille. Si è sposata lo scorso anno ed è riuscita a far arrivare in Francia tutta la sua famiglia grazie alla legge del ricongiungimento familiare.
Oggi è una donna ancora più forte rispetto a quando è scappata dall’Afganistan e, anche se un domani spera di poter tornare a casa, è consapevole che adesso deve continuare a lottare per tutte le donne che nel mondo non hanno un futuro, perché schiacciate da un regime che impedisce alle donne di studiare, fare sport e le obbliga a sposarsi contro il loro volere.
«Io continuo a fare ciclismo perchè per me è un simbolo di libertà, di forza e di rottura degli obblighi. Non era normale fare ciclismo in Afghanistan e io adesso posso rappresentare quelle donne che non hanno voce. Anche la mia vita era in pericolo e per questo posso comprendere le donne che sono ancora in Afghanistan e che soffrono per la loro condizione. Io rappresento tutte le donne che restano nel loro Paese e non hanno diritti e che vogliono fare le stesse cose che fanno tutte le altre donne nel mondo e allo stesso tempo rappresento le donne rifugiate, costrette a scappare dalla propria terra. Essere qui con la maglia degli atleti rifugiati è un modo per ispirare tutti a fare grandi cose, come rifugiata donna posso mandare un messaggio forte a tutto il mondo ed è per questo che correrò in questo Mondiale».
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