È guerra aperta tra Patrick Lefevere e La Gazzetta dello Sport. Il general manager della Soudal Quick-Step ha reagito duramente oggi alle altrettanto dure parole vergate ieri sulla rosea dal vicedrettore Pier Bergonzi.
«Hanno superato il limite. E io dovrei denunciarli per diffamazione. Il padre di Remco era molto arrabbiato: come è possibile accusare qualcuno che è malato, e che soprattuto ha il covid, di essere fuggirto dal Giro? Chi sono loro per sostituirsi ad un dottore? Questo è tutt'altro che corretto. Inoltre, Remco non è fuggito: non ha lasciato l’albergo fino alle 9:30 di lunedì. Nel frattempo ho parlato con lui tramite Whatsapp, è ancora positivo e ha ancora i sintomi. Apparentemente ci sono ancora corridori contagiati al Giro che continuano a correre, ma questa è una loro scelta» ha detto Lefevere a Het Nieuwsblad.
E ancora: «Forse l'unico errore che abbiamo commesso è stato quello di non avvisare gli organizzatori di quello che stava succedendo, ma loro non possono usare questo fatto per accusare Evenepoel. In Italia devono essere grati a Remco per essere venuto al Giro, invece sparano contro di lui».
Infine un’ultima riflessione: «L'anno scorso abbiamo avuto diversi caso di Covid nella nostra squadra, Tim Declerq è finito addirittura in ospedale con una pericardite. Per me non ne vale la pena, non gioco con la vita di un ragazzo di 23 anni».
Per chi non lo avesse letto, questo è il commento apparso ieri su La Gazzetta dello Sport a firma di Pier Bergonzi
EVENEPOEL, IL COVID E IL RISPETTO CHE SI DEVE AL GIRO
Che il Giro d’Italia perda la sua maglia rosa per Covid è difficile da spiegare. Ma come? Nel momento in cui il mondo dichiara che siamo usciti dalla pandemia e declassa il Covid a semplice influenza, il ciclismo è l’unico sport che lo cerca ancora e lo sbandiera? Nessun calciatore viene più fermato, zero casi nel tennis a Roma, nessuna traccia nelle finali del volley, nei playoff del basket e nel motomondiale... Sembra che la nuvoletta del Covid (come quella di Fantozzi) sia soltanto sopra la testa del Giro d’Italia, che addirittura ripensa a un protocollo anti-Covid con quelle mascherine che pensavamo fossero ormai un ricordo.
La verità è che nessun regolamento né internazionale né nazionale lo impone e che i ritiri di sei corridori, tra i quali Filippo Ganna e Remco Evenepoel, sono stati scelte deliberate delle rispettive squadre. Nessuna decisione degli organizzatori o delle istituzioni del ciclismo. Tanto è vero che oggi il norvegese Erik Bystrom della Intermarché, positivo al Covid, sarà regolarmente al via.
Per questo brucia l’addio improvviso di Evenepoel, il fuoriclasse belga che domenica ha vinto la crono di Cesena (a oltre 50 di media oraria!) riconquistando la maglia rosa. In serata ha annunciato via social che si sarebbe ritirato perché positivo al Covid e ieri mattina presto è salito su una macchina e ha lasciato il Giro d’Italia.
Ora, tutto ciò che ruota intorno alla salute, di tutti e quindi anche dei corridori, merita il massimo rispetto e non vogliamo correre dietro alle polemiche né assecondare le illazioni. Se un corridore sta male e non può proseguire la corsa non ha altra strada. Ma non è più il Covid l’ombrello sotto al quale coprirsi... Remco Evenepoel ha scelto di lasciare il Giro perché si è reso conto di non essere più nella condizione psichica e soprattutto fisica (in questo caso sì per l’attacco influenzale) per vincere il Giro d’Italia. E il fiammingo ha una personalità grande quanto il suo talento. Diciamo che avrebbe fatto fatica ad accettare una sconfitta e ha preferito lasciare la corsa in maglia rosa, con due successi nelle due crono disputate.
Ma se il campione e i suoi problemi fisici meritano rispetto, crediamo che anche il Giro d’Italia e la maglia rosa, uno dei simboli più iconici del ciclismo, avrebbero meritato più rispetto. Remco è il campione del mondo ed era il corridore faro della nostra corsa. Lui porta sulle spalle una grande responsabilità. Al suo posto avremmo quantomeno avvertito gli organizzatori domenica sera (cosa che né lui né la sua squadra hanno fatto). Avremmo passato la giornata di riposo cercando di recuperare le forze (la crono l’aveva comunque vinta...) e avremmo provato a partire oggi nella tappa che porterà il Giro a Viareggio. Un grande campione costruisce la sua leggenda anche per come affronta i momenti difficili.
Giuseppe Saronni dice che definire il suo addio alla corsa una mancanza di rispetto è fin troppo elegante. Francesco Moser sottolinea che nella crono di Cesena era andato meno forte di quanto si aspettasse e che ha abbandonato prima della vera battaglia.
La storia del ciclismo è ricca di forfait di campioni per problemi fisici. Hinault, torturato da problemi al ginocchio, lasciò il Tour del 1980 quando era in maglia gialla e Marco Pantani abbandonò il Tour del 2000 dopo la tappa di Morzine, per un blocco intestinale, quando si accorse che ormai non avrebbe più potuto spodestare Armstrong. Lasciarono la corsa per problemi fisici. Perché non stavano bene. Ma noi oggi a quegli abbandoni diamo un altro nome: fughe!