È un ritorno, carico di suggestioni, perchè chi ama il ciclismo non può fare a meno di ricordare la Salvarani, una delle squadre più iconiche della storia del ciclismo. In attività dal 1963 al 1972, la Salvarani Vinse per tre volte il Giro d'Italia nel 1965 con Vittorio Adorni, nel 1967 e nel 1969 con Felice Gimondi e sempre con il campione di Sedrana, un Tour de France e una Vuelta, rispettivamente nel 1965 e nel 1968. Nel palmares del team parmense figurano anche quattro classiche monumento,il Giro di Lombardia e la Parigi-Roubaix (nel 1966 con Gimondi), il Giro delle Fiandre (1967 con Dino Zandegù) e la Milano-Sanremo (con Rudy Altig, nel 1968), oltre a quindici tittoli nazionali tra strada, cross e pista.
A darne notizia è Repubblica, e noi non possiamo che esserne felici. Torna la Salvarani, con le sue cucine, ma una volta che si torna in sella, non è detto che non si torni anche a pedalare. Volete saperne di più? Leggete l'intero servizio apparso su repubblica.it
«La scelta di rilanciare il marchio Salvarani a partire da Parma non ha né un sapore nostalgico né di rivalsa ma nasce da un senso di orgoglio per la storia di una azienda creata a partire da una piccola falegnameria e dalla volontà di guardare al futuro, senza dimenticare i valori del passato».
A parlare è Giovanni Salvarani, figlio del patron Renzo, scomparso lo scorso 18 ottobre all’età di 95 anni, che fondò la storica azienda di cucine componibili nel secondo dopoguerra, dando vita con i suoi fratelli a una delle più importanti espressioni del miracolo economico italiano.
Il progetto, annunciato nei giorni scorsi, di debuttare nel 2022 con una nuova linea di cucine componibili che riporterà a Parma il marchio di famiglia, recuperando identità e caratteristiche di un brand che nel passato ha saputo radicarsi nel territorio e proiettarsi su mercati internazionali, viene presentato da Giovanni Salvarani, che alla fine degli anni Settanta, quando si avviò la crisi che portò al fallimento dell’azienda, aveva solo diciannove anni.
«Nel ‘79 stavo iniziando l’università, avvertivo che c’erano problemi ma non ero dentro l’azienda per poter capire quello che stava succedendo. Mio padre e i suoi fratelli hanno dato tutto quello che avevano per rilanciare l’azienda ma tre mesi di gestione da parte dei nuovi manager furono fatali. La nuova gestione - ricorda - ha iniziato a tagliare tutti i servizi, la mensa, i trasporti, i depositi, credendo che attraverso il taglio dei costi avrebbe avuto risultati diversi. Ma è come per una macchina: è chiaro che se per un anno non si fa la revisione si otterrà subito un risparmio, ma l’anno dopo la macchina sarà da buttare. Mi meraviglio che mio padre non abbia combattuto, ma era fatto così: voleva continuare a fare mobili e guardare avanti. Ed è quello che voglio fare adesso».
Quando è nata l’idea di riportare a Parma il marchio Salvarani, dandogli nuova vita?
«La scintilla è scattata nel 2018 quando alcuni amici ed ex collaboratori dell’azienda mi hanno proposto di fare una festa per mio padre, a Baganzola: è stata un’occasione molto bella in cui abbiamo sentito il grande affetto e la stima per la vicenda umana e professionale di nostro padre. Quel giorno, gli ho regalato il libro Dossier Salvarani, fatto per lui, in cui documento tutta la vicenda aziendale, dalle umilissime origini alla crescita tumultuosa fino alla crisi, all’intervento della gestione esterna, ai libri portati in tribunale e ai tentativi di concordato. Lo stesso giorno, in cui abbiamo festeggiato il 92° compleanno di mio padre, ripercorrendo la storia della azienda abbiamo anche parlato della possibilità di rilanciare il marchio che era fermo dal 2011».