Il direttore generale Wada (Agenzia mondiale antidoping) Olivier Niggli ha cncesso una lunga intervista a Sky Sport, toccando diversi temi di stretta attualità. Ecco le sue parole.
Si è sempre detto che l’antidoping è un passo indietro al doping: è ancora così?
«C’è un aspetto chiave per avere un effetto a lungo termine: educare, in ogni parte del mondo, i ragazzi, i giovani atleti affinché possano fare le scelte giuste. Prima ancora di parlare di positività, di test, di punire chi fa uso di doping dobbiamo lavorare per dare agli atleti che iniziano un percorso sportivo i giusti strumenti perché possano prendere da soli decisioni che riguardano questo argomento. Il mio sogno è quello di organizzare un programma educativo che abbia basi solide e farlo in particolare in quei paesi in cui ci è più difficile avere acceso a queste informazioni».
Qual è il suo progetto nel concreto?
«Per noi è una priorità aiutare quei Paesi meno sviluppati per fare in modo che elevino i loro standard così gli altri atleti che provengono da zone in cui ci sono maggiori possibilità come l’Europa, l’Italia ad esempio, siano certi di poter avere accanto a loro, quando inizia una gara, un avversario che ha subito gli stessi controlli. Al momento non tutti i paesi sono ancora allineati nella lotta al doping. Non dobbiamo dimenticare che lo sport non è vincere a tutti i costi, lo sport è costruire relazioni, è amicizia… già attorno agli 8 anni si possono trovare le parole giuste per spiegare i valori e lo spirito di praticare un’attività sportiva. E poi si deve proseguire sulla strada dell’educazione diventando più tecnici, entrando nel dettaglio degli effetti che il doping ha per la salute di una persona».
Informazione quindi alla base di tutto.
«Conoscere i rischi che corri in prima persona, sulla tua pelle, ti porta a non credere alle persone che ti suggeriscono di prendere la pillola rossa o la pillola blu perché capisci che non solo è scorretto ma è pericoloso. Per noi è fondamentale sapere che nel caso in cui un atleta si trovi davanti a una scelta difficile, perché sappiamo che accade anche se vorremmo che non fosse così, abbia la consapevolezza per potere dire NO, non prenderò quella sostanza».
Qual è il vostro bilancio dei Giochi Olimpici di Tokyo 2020?
«Il numero di test che sono stati fatti nei mesi precedenti all’Olimpiade di Tokyo è stato il più alto rispetto a qualsiasi altra edizione olimpica del passato. E questo ci rassicura. Però non ho la sfera di cristallo, il futuro ci dirà le risposte su questi Giochi perché le provette degli atleti testati vengono conservate per un periodo lungo (10 anni) e questo è molto importante, è un deterrente».
Sempre in chiave olimpica, a distanza di tempo alcune medaglie di Londra 2012 sono state revocate.
«Chi imbroglia deve sapere che se adesso non è stato trovato positivo non è detto che questo non accadrà in futuro. Credo che questo sia un messaggio molto forte. Spero che questo non accadrà, ma la scienza si evolve, si trovano nuovi test, verranno fatti altri esami sulle provette dei medagliati di Tokyo e allora sapremo se sono stati davvero i giochi più puliti di sempre. Il futuro ce lo dirà».
Quale la sua posizione sul caso Schwazer?
«È importante fare una distinzione sul caso Schwazer: la giustizia italiana ha disposto l’archiviazione del procedimento penale a suo carico. Il diritto penale è una cosa, possono decidere quello che vogliono e questo fa parte della giurisdizione italiana. La giustizia sportiva, che è quello che ci riguarda quando si parla di antidoping, e non di giustizia penale, ha reso nota la sua decisione tempo fa, già a Rio. Il signor Schwazer ha portato le sue istanze per contestare la decisione della giustizia sportiva in più sedi: dal Tas, il tribunale arbitrale dello sport, al tribunale federale svizzero: e la sua difesa è sempre stata respinta, è sempre stata ribadita la sua colpevolezza».
Il processo seguito dalla giustizia sportiva è stato molto più scrupoloso nel guardare alle prove.
«La giustizia ordinaria in questo caso guarda solo all’aspetto penale, analizza una parte molto ristretta delle prove: queste due strade non si sovrappongono. Noi non siamo coinvolti nella raccolta delle provette e per noi il risultato di quell’indagine è chiuso da tempo. La giustizia sportiva ha lavorato in maniera molto scrupolosa: c’è stata un’udienza, sono stati sentiti testimoni, analizzate le prove, sono stati chiamati degli esperti e tutto questo ha portato alla sua condanna. La giustizia ordinaria si occupa solo del decidere se aprire o meno un’investigazione penale e il processo è molto diverso: non sono stati sentiti testimoni, alcuni esperti sono stati richiesti ma solo su temi molto specifici e possiamo dire che per molti aspetti non può essere considerato un vero giudizio quello che ne esce, ma solo una decisione di non procedere a un’investigazione. Personalmente non ho mai parlato direttamente con il signor Schwazer e nemmeno con il suo allenatore, il signor Donati con cui c’è stato solo uno scambio di mail. Noi siamo qui per proteggere gli atleti puliti, siamo qui per assicurare che un sistema equo sia applicato in tutto il mondo. Il signor Schwazer ha usato tutte le possibilità legali in suo possesso, il sistema ha lavorato correttamente e bisogna accettare quanto è emerso. Mi dispiace per lui ma dobbiamo accettare e rispettare le regole e rispettare ed essere rigorosi quando le prove portano in una certa direzione».
Umanamente non le è mai venuto un dubbio?
«Affrontiamo centinaia di casi ogni anno e non possiamo permetterci di porci interrogativi e dubbi sulle regole e soprattutto sulle prove che emergono, prove che, come in questo caso, sono molto chiare. Non possiamo ragionare a livello umano, parlare di sentimenti, dispiacerci: dobbiamo guardare a quali sono le prove, cosa significa in termini di regolamento, qual è l’esito e in base a questo dobbiamo applicare il nostro regolamento per ogni singolo individuo, esattamente nella stessa maniera in ogni parte del mondo. Questo è fondamentale se vogliamo proteggere gli atleti puliti: con Il signor Schwazer non abbiamo fatto altro che applicare lo stesso sistema che applichiamo con qualsiasi altro atleta. Per quanto riguarda il signor Donati, con cui abbiamo lavorato in passato, ora non abbiamo più alcun tipo di rapporto. E’ sempre stato un fautore della lotta al doping, ma sfortunatamente in questa storia ha deciso che la sua visione potesse essere l’unica possibile e noi non possiamo essere d’accordo su questo. Noi pensiamo che le prove portino in un’altra direzione e sfortunatamente non è più possibile avere con lui una conversazione razionale su questo argomento».
Veniamo al caso Russia.
«Non si può parlare né di vittoria, né di sconfitta. E’ solo triste ciò che è accaduto in Russia. Ed è triste soprattutto per gli atleti russi perché molti di loro erano all’interno di un sistema in cui non avevano scelta. Quello che noi abbiamo fatto è stato applicare le regole, la giustizia ha fatto il suo corso e le conseguenze di quello che è stato scoperto hanno portato all’esclusione della Russia a Tokyo. Quello che spero per il futuro, e voglio essere ottimista, è che questa sia stata una lezione. Una lezione che hanno imparato, e che questo non accada più non solo in Russia ma in qualsiasi altra parte del mondo. Spero che non ci sarà più alcun potere che avrà la tentazione di organizzare un sistema in cui gli atleti vengono forzati a fare uso di doping. Perché le prime vittime in tutto questo sono stati gli atleti che non hanno avuto altra scelta. Adesso dobbiamo guardare al futuro: la Russia è una grande nazione, con una grande importanza a livello sportivo. Hanno un sistema antidoping che funziona e noi vigileremo per avere la certezza che questo funzioni in maniera indipendente. C’è una nuova generazione di atleti russi che non hanno assolutamente nulla a che vedere con quanto accaduto in passato e che fanno parte di un sistema pulito. L’obiettivo è che quando questi atleti partecipano ad una competizione siano rispettati dagli avversari e non vengano visti con sospetto».
Alla ribalta c'è il tema cannabis.
«L’idea che l’antidoping sia sempre un passo indietro rispetto al doping deriva dal fatto che si pensa sempre ai nuovi prodotti che escono sul mercato e che serva tempo per testarli. Ma da 10 anni a questa parte, grazie ad un accordo con le case farmaceutiche, abbiamo accesso alle nuove sostanze che vengono prodotte ancora prima che vengano immesse sul mercato. Questo ci permette di lavorare in anticipo sulle molecole che vengono scoperte. I nostri laboratori studiano e analizzano in anticipo tutte queste nuove sostanze. Adesso, quando c’è un nuovo prodotto sul mercato, e qualcuno pensa di percorrere la strada del doping ed essere in vantaggio sull’antidoping, dico che si sbaglia».
Sconfiggere il doping è un sogno, un obiettivo o una possibilità?
«Penso che si debba sognare che è possibile. Per sconfiggere il doping bisogna lavorare ogni giorno con due obiettivi: renderlo sempre più complicato a chi voglia farne uso imbrogliando e proteggere gli atleti puliti. Dobbiamo ambire a garantire che tutti gli atleti che partecipano a una competizione siano uguali alla partenza. Che tutti si ritrovino a gareggiare in qualsiasi campo avendo fatto tutti gli stessi test, con lo stesso programma di controllo e che possano essere certi di competere con le stesse possibilità. Abbiamo ricevuto richieste da parte di atleti, atleti di alto profilo, di riconsiderare la nostra posizione riguardo alla cannabis. Questo non è un tema nuovo, se n’è già discusso parecchie volte nel corso degli anni. Ci sono posizioni diverse tra un paese e all’altro su questa sostanza: in alcuni stati è considerata una sostanza illegale, in altri è stata legalizzata. Per noi come Wada non può essere bianco o nero: dovremo trovarci con più esperti per discuterne ancora. Il tema per noi è legato strettamente allo sport e allora in questo senso analizzeremo se la cannabis deve rimanere nella lista delle sostanze vietate o se ci sono ragioni per cui questa posizione debba essere rivista. Ci affideremo alla scienza, a chi lavora in questo campo e il prossimo anno ne discuteremo con il nostro comitato esecutivo e il nostro board. Per il 2022 posso dire che la cannabis rimarrà ancora tra le sostanze vietate».