I testimoni più attenti del ciclismo della fine degli anni Sessanta affermerebbero certamenet che, a dispetto di un palmares piuttosto povero, Jean-Marie Leblanc è stato un buon corridore.
Ed è stato anche quello che i giornalisti francesi definiscono un «buon cliente», ovvero colui verso il quale ci si dirige al villaggio di partenza per raccogliere indiscrezioni o un aneddoto che verrà buono per la prossima rubrica di brevi.
E sfogliare la raccolta de L’Equipe del Tour 1970 è esaustivo al riguardo: il corridore della Bic - al suos econdo Tour dopo essere stato 58° nel 1968 - svolge al meglio il suo ruolo di gregario di Jan Janssen e Luis Ocaña, ma viene spesso citato sul giornale, molto più di quanto farebbe pensare il suo peso sulla corsa.
Il merito va a Guy Lagorce che sin dalla prima settimana di Tour lancia la rubrica «Piccolo ritratto di un futuro collega» nella quale Leblanc spiega: «Diventare giornalista sarebbe per me l’occasone per dimostrare a tutti che icorridori non sono solo bravi a dire “ciao Mama”. Confesso che nei momenti più duri, quando una vettura della stampa mi sorpassa, io getto dentro quell’auto uno sguardod i invidia. Voi non potete sapere come il sedile di una vettura possa essere comodo, quando lo si guarda dalla sella di una bicicletta».
Ma il giornalismo non è l’unico interesse di Leblanc, il quale nel mirino ha anche l’interesse superiore del ciclismo. Giovane padre di famiglia, ben presto consapevole che il suo livello nel ciclismo non gli permetterà di ottenere guadagni importanti, Leblanc si prepara acostruirsi un altro avvenire.
E nell’inverno successivo, Jean-Marie prepara la sua riconversione.
Cinquant’anni più tardi, così Leblanc racconta i suoi primi passi da giornalista: «Ero timido, ma il mio compagno di squadra Philippe Crépel mi ha convinto nell’inverno 1966-67 a telefonare ad Emile Parmentier, capo della redazione sportiva de La Voix du Nord. È lui che mi ha accolto con entusiasmo e che non ringrazierò mai abbastanza. Mi ha dato da seguire il ciclocross e mi ha assegnato la rubrica di pugilato, uno sport che adoro e del quale ho preso anche un brevetto da istruttore». Ciclista d’estate (allora il calendario lo permetteva, ndr) e giornalista d’inverno: se ci aggiungete la laurea in scienze economiche potrete ben capire come fosse considerato in gruppo il giovane Leblanc.
Al Tour 1970, Jean-Marie Leblanc prosegue il suo cammino di apprendimento e sentre crescere sempre più la vocazione del giornalista, mestiere che intraprenderà definitivamente nel 1971 a la Voix du Nord, al termine della sua utima stagione agonistica.
Nel frattempo l’uomo che qualche anno più tardi sarà chiamato da Noël Couëdel, direttore de L’Équipe, a prendere in mano la redazione ciclismo, continua a lavorare per il futuro dello sport che ama: diventa segretario generale dell’Union Nationale des Cyclistes Professionnels (UNCP): «Con la UNCP ci siamo battuti per ottenere il contratto biennale per i neoprofessionisti, cosa che all’epoca non esisteva. E già che c’ero mi sono impegnato anche in seno all’Union Syndicale des Journalistes Sportifs de France (USJSF)».
Passo dopo passo, Jean-Marie arriva al top nel 1988 quando diventa direttore del Tour de France, esattamente vent’anni dopo avervi esordito come corridore.
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