Gli anni che terminano con la cifra “0” hanno portato spesso grandi novità al Tour de France, hanno visto scrivere importanti pagine di storia, hanno portato alla ribalta personaggi e aneddoti. Ve li vogliamo raccontare, in attesa della corsa che scatterà il 29 agosto da Nizza. La seconda puntata, relativa al 1920, ha per protagonista Henri Desgrange, il "padre padrone" della Grande Boucle.
Dove posizionare il livello delle difficoltà perché la corsa sia esigente e permetta ai suoi protagonisti di mostrare la loro bravura e la loro resistenza, senza che la prova scivoli nel ridicolo e metta in discussione il valore dei suoi attori? È una domanda che accompagna lo sport sin dalla sua nascita ed è una domanda alla quale è difficile dare una risposta precisa.
Tra i pochi ad avere certezze, nella storia dei grandi eventi, è stato Henri Desgrange, direttore del giornale L’Auto e del Tour nella Francia - del quale era letteralmente il padre padrone - degli anni Venti: poche storie, il suo obiettivo era organizzare una “prova”, nel senso primario del termine.
La discussione su quale sia stata l’edizione più dura del Tour è aperta, ma sicuramente quella del 1920 si candida perché racchiude in sé tutti gli elementi necessari per essere ricordata come epica.
Da percorrere 5503 km che non ne fanno l’edizione più lunga del Tour, ma che divisi in 15 tappe danno una media di 367 km, seconda solo all’edizione della ripartenza nel 1919. E ricordiamo che quella attraversata è la Francia del pieno dopoguerra, le strade sono piene di di buche, pietrisco, crepe e solchi... non certo il terreno ideale per chi deve pedalare, soprattutto quando la partenza delle frazioni viene data generalmente alle due del mattino.
Come se tutto ciò non bastasse, Desgrange studia una formula nuova con l’obiettivo di spezzare il dominio delle case costruttrici di biciclette e impedire qualsiasi forma di accordo. È un’ossessione, questa, per il patron del Tour che si traduce in un regolamento severissimo: «Il corridore del Tour de France è posto nella stessa situazione di chi parte in allenamento senza aver programmato alcun ristoro lungo la sua strada. Ne consegue che: 1 - non può fornire alcun aiuto a compagni di squadra o avversari e non può accettare nulla da loro; 2 - lungo la strada deve organizzare da solo i suoi rifornimenti, senza accettare nulla da chicchessia e anche pensare da solo a prendere l’acqua alle sorgenti o alle fontane che incontra. Il corridore dovrà affrontare l’intero Tour con la stessa bicicletta a meno di un grave incidente e solo in questo caso potrà cambiarla a condizione di utilizzarne una della stessa marca».
Le lamentele che si raccolgono il 27 giugno al via di Place de la Concorde trovano ben presto giustificazione: dopo sole 4 tappe restano in corsa 48 ciclisti sui 113 partiti. E il malcontento cresce anche tra il pubblico, visto che a dominare in classifica sono i belgi. Certo, Henri Pélissier ha vinto a Brest e a Sables-d’Olonne, ma nella tappa successiva - la più lunga con i suoi 483 chilometri da Les Sables a Bayonne - si ritira. E Desgrange lo attacca sulle colonne de L’Auto: «E allora, Pellissier è meno valido dopo la guerra che prima della guerra? No, ma sono migliorati gli avversari ed è cresciuta l’altezza degli ostacoli da superare. Ecco delle possibili spiegazioni, anche se poi è lo stesso Pélissier che chiarisce: “Ho dei soldi e una situazione che mi permette di evitare certe sfide”. Chi può biasimarlo? Tutt’al più potremmo chiedergli perché abbia deciso di partire, di schierarsi al via. Il suo cervello non è più quello di un tempo, si gode la vita, l’età ha calmato il suo entusiasmo e il suo cuore non batte più come faceva al debutto... Moralmente ha la pancia piena quando invece il Tour de France richiede gatti affamati...».
Il Tour 1920 prosegue quindi senza Henri Pélissier (che comunque nel 1923 si prenderà una grande rivincita nei confronti di Desgrange, vincendo la Grande Boucle davanti a Ottavio Bottecchia) e continua a perdere pezzi, visto che al termine della prima tappa pirenaica restano in corsa solo 31 ciclisti.
Nella sua filippica contro Pélissier, il patron del Tour definisce ancor meglio la sua idea di campione ideale per il Tour: «E poi, che nervosismo da signorina! A Morlaix dice di no, a Brest dice di sì, alle Sables-d’Olonne dice ancora di sì, ma cento chilometri più avanti dice ancora di no. Paragonate voi questo “piroettare” con la volontà di resistere mostrata da Christophe...».
Peccato che Eugène Christophe, il cocco di Desgrange, sia costretto lui pure a lasciare la corsa a causa di fortissimi dolori nella zona renale... Comunque alla fine a trionfare, per la gioia di Desgrange, è davvero un duro, il belga Philippe Thys che diventa il primo capace di vincere il Tour per tre volte (le prime due riaslgono al 1913 e al 1914). Thys guida una classifica con sette belgi ai primi sette posti e chiude le 15 tappe con il tempo di 228 ore 36'13", vale a dire quasi il triplo del tempo impiegato da Egan Bernal per vincere l’ultimo Tour. A proposito, per la cronaca a Parigi il 25 luglio arrivarono solo 22 corridori. E chissà come avrebbe raccontato, il mitico «HD», il primo trionfo di un corridore colombiano al Tour de France...
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