La prima fu una Saltafoss, «color bronzino, con le molle e il freno a disco, e un cambio tipo automobile, anzi tipo harley, meglio di una harley. Me la sognavo la notte, che roba». Di quel primo amore per la bicicletta Andrea Camerana ha conservato tutto, la purezza e la spontaneità, l’ardore e la leggerezza. Si definisce un ciclista di poco conto, «superficiale». Ma non è vero: questo è il diario di un ciclista sentimentale. «Adesso sono in Liguria, ero venuto qui per un weekend-end e poi è scoppiato il casino del virus e ci sono rimasto. La mattina del 4 maggio no, non sarò in bicicletta. Ma poco fa stavo al telefono coi miei soci e penso che una me la farò spedire. Per il 6 o il 7 al massimo sarò sul lungomare, da solo, seguirò le regole ma un giro in bici non me lo toglie nessuno. Niente salite, per carità. Però bicicletta è sinonimo di libertà, quindi non vedo l’ora».
LAVORO. Lo zio è Giorgio Armani, l’altro ramo della famiglia è legato agli Agnelli. Lui, 50 anni, conserva quella pacatezza e quello charme che ha preso dal mondo. E la bici, in fondo, c’entra sempre. «La bici è stata per me il primo strumento di emancipazione, il primo desiderio violento. La bicicletta la vedevi in vetrina, era una cosa che ti fermavi a guardare con gli occhi di fuori. E poi, una volta avuta, cominciavi a staccarti dalle gonne della nonna, della mamma, a sentirti grande, mi sono massacrato le ginocchia ai giardinetti o sulle strade della Liguria. Pedalavi lontano, sapevi che poi ti giravi e tornavi in fretta». Potete giurarci, tutti voi che il sogno a due ruote l’avete tenuto sotto il cuscino anche in queste settimane di pandemia: è la bicicletta che bramate. Anche Camerana, che la passione l’ha fatta diventare anche occupazione, economia. Con alcuni compagni d’avventura, amici, ha rilevato un negozio storico di Milano, il Drali, bici che hanno fatto epoca, bellezza e fantasia. «Non potremo approfittare del boom evanescente di chi farà la corsa per comprarsi una bici. Noi continuiamo a essere in una fascia di mercato medio alta. Ma non ci tireremo indietro davanti alle opportunità».
RICORDI. Certo il virus ha investito tutto, ciclismo compreso. Anche quelli che come Andrea avevano riscoperto il piacere di una «ciclo-storica, una pseudo gara per vivere il momento, l’atmosfera del partire tutti insieme, lo spirito goliardico, il paesaggio, le mangiate. Pensavo di farne una a giugno o a luglio, ma con questa situazione è difficile». Non ci resta che sognare, ricordare, rievocare i giorni «dell’università quando avevo un libro di mille pagine davanti, una coca-cola e in tv davano il Giro: era impossibile farne a meno». O ripescare nella mente le figure mitiche «di Coppi in quanto tale, figura elegante, aristocratico nelle forme, nel suo aspetto», «o di Gimondi: nelle biglie in spiaggia bisognava averlo». O, ancora, senza andare troppo lontano, nella figura di zio Giorgio, «una bicicletta nella linea dell’Emporio Armani non manca. Ce l’ho in mente a Forte dei Marmi, io piccolo e su questa Bianchi molto bella, che pedalavamo insieme per queste stradine».
dal Corriere dello Sport-Stadio
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