Non ricordo più se nel 2007, per la partenza del Giro d’Italia da Caprera, o più probabilmente nel 2015, quando Fabio Aru conquistò il secondo posto al Giro d’Italia, intervistai Giovanni Garau da Santa Giusta, classe 1935, pioniere del ciclismo sardo. Nel taccuino erano rimaste queste chicche (ed è la quindicesima puntata)
LA FAMIGLIA “Babbo capraio, ma anche contadino, grano, e allevatore, maiali. Ai maiali davamo da mangiare anche i nostri fichi d’India. Mamma tutto il resto, compresa l’attività al telaio. Io ero il secondo di quattro figli, due maschi e due femmine. Mio fratello, più piccolo di me, sarebbe diventato sindaco, era comunista e amico di Enrico Berlinguer. Feci la quinta elementare, poi non avevo più il tempo per andare a scuola”.
L’ESORDIO “Nel 1953, a 18 anni, nell’Aurora. La Coppa Aurora era la gara più dura e prestigiosa. La vinsi. E guadagnai 20 mila lire. La domenica successiva altra corsa, altra vittoria e altre 20 mila lire con un vaglia telegrafico”.
L’ERRORE “Nel 1957 non accettai la proposta di correre per la Ceat di Torino: in Sardegna avevo ricevuto un ingaggio di 200 mila lire e per non restituirli commisi il più grande errore della mia vita”.
LA SCELTA “Nel 1959 venni convocato da Guido Costa, c.t. della nazionale italiana su pista, per le Olimpiadi di Roma: partecipai ad alcune riunioni, l’ultima a Genova, poi capii che avevano già scelto altri corridori, ripresi la nave e me ne tornai in Sardegna”.
LA STRADA “Sempre nel 1959 corsi da solo le finali del San Pellegrino, e se non avessi sbagliato strada, avrei vinto io, non l’umbro Carlo Brugnami e neanche il trentino Mario Bampi”.
IL CONTRATTO “Gino Bartali, direttore sportivo della San Pellegrino, mi incitava e mi offriva un contratto da 50 mila lire al mese. Franco Pretti, segretario particolare di Benito Mussolini (e suo suocero aveva un pastificio), mi propose 30 mila lire al mese, ma le spese pagate. E accettai. Così corsi per l’Audax di Cagliari, il cui direttore sportivo era Pretti, in squadra anche Ignazio Aru, Natale Pau, Francesco Musa, il toscano Emilio Ciolli e il romano Rolando Pazzini. E con l’Audax partecipai al Giro di Sardegna del 1960, organizzato proprio da Pretti”.
I PREMI “Ricordo, soprattutto, un Lambrettino 48 e un crono d’oro”.
COPPI “Gli davo del lei, lo chiamavo ‘signor Fausto’”.
ALLENAMENTI “In continente abitavo a Pescia, a casa di Quirico Bernacchi, mi allenavo con Rino Benedetti, qualche volta con Gastone Nencini”.
NENCINI “Beveva, fumava... Come lui non ci sarebbe stato nessuno, se solo avesse fatto la vita del corridore. In corsa pretendeva acqua fresca, rifiutava quella calda, non beveva vino, ma se gliene avessi dato una borraccia, l’avrebbe presa”.
LE SANREMO “Due. La prima nel 1961, quella vinta da Raymond Poulidor, correvo per la Vov, ero davanti ma nella volata rimbalzai, fui sedicesimo. La seconda nel 1963, quella vinta da un altro francese, Joseph Groussard, correvo per la Springoil, rientrai sul gruppo e chiusi in gruppo, ma finito”.
IL GIRO “Due. Il primo nel 1961, e lo finii, il primo sardo a finire un Giro d’Italia. Il secondo nel 1963. A Pescara fu organizzata una messa e Vincenzo Torriani mi costrinse a fare il chierichetto. Quando Nencini, il capitano, si ritirò, noi avremmo dovuto avere carta bianca e via libera. Dopo il quarto posto a Salsomaggiore, fui quinto a Cremona dove vinse Marino Vigna. Ma litigai con la squadra: era un giorno in cui non sentivo i pedali, chiesi di darmi una mano, invece preferirono Silvano Ciampi, risultato io quinto e Ciampi ottavo. Poi fui decimo a Treviso. Quel giorno dissi a Benedetti, che era di un’altra squadra, di mettersi alla mia ruota, poi creai la fuga che arrivò al traguardo, ma lui, alla mia ruota, non c’era. Gareggiai bene anche nella crono di Treviso. Ma ero stufo. Feci la valigia e uscii. Fuori dall’albergo incontrai Ercole Baldini e Arnaldo Pambianco. Dove vai?, mi domandarono. A casa, risposi. Mi convinsero a rimanere. Terzultima tappa, più che una tappa era un tappone, da Belluno a Moena, cavalcata dei Monti Pallidi e battaglia sullo sterrato. Forai, cambiai la ruota e aspettai il mio compagno Vittorio Chiarini, che aveva forato appena prima di me. Chiarini non passò mai, perché un boscaiolo gli aveva suggerito una scorciatoia, ma io non lo sapevo, aspettai tanto, troppo. E quando finalmente mi dissero che Chiarini era avanti, io, ormai irrimediabilmente staccato, pensai: ‘Se non l’ho visto passare, vuole dire che sono cotto’. E abbandonai”.
LA BERNOCCHI “Nel 1962, correvo per l’Ignis, tutto il giorno a spingere Baldini, e quando lui scoppiò, andai via con altri 40. Si arrivò in volata: primo Pierino Baffi, secondo Nino Defilippis, terzo io. Giovanni Proietti, direttore sportivo dell’Ignis, mi sgridò: ‘Hai avuto paura di vincere. Se fossi partito prima, avresti vinto tu’”.
LA VUELTA “Nel 1964. E fui il primo sardo nella storia a finire una Vuelta”.
LA PISTA “A Sassari organizzarono una gara di inseguimento fra me e Carlo Simonigh, che era stato campione del mondo dilettanti. Vinsi io. A Carbonia organizzarono la rivincita su una pista di cemento di 450 metri. E vinsi ancora io di quattro o cinque metri. Poi Gaiardoni, Beghetto e Bianchetto prendevano in giro Simonigh”.
LA BOMBA “Simpamina. Poi, per smaltirla, un litro di latte e un bagno caldo”.
IL RITIRO “Smisi di correre perché fui investito da una macchina, ma non ho mai smesso di andare in bicicletta. Anche in campagna. Con taniche di 30 litri davanti e 20 dietro”.
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