In casa Bardiani-CSF si cominciano a scaldare i motori in vista del Giro d’Italia. La prima parte di stagione non è stata troppo proficua in termini di risultati, anche se quando contava il GreenTeam si è fatto sempre trovare puntuale nella fuga di giornata. La Corsa Rosa rappresenta il punto di svolta ideale e Stefano Zanatta lo sa bene, visto che si appresta a vivere il 27esimo Giro da direttore sportivo. Negli ultimi giorni ha osservato i suoi ragazzi al Giro dell’Appennino e al Tour of the Alps, dove Giovanni Carboni ha perso la Top 10 in generale nell’epilogo di Bolzano.
Carboni ha ceduto proprio nell’ultima tappa…
«Purtroppo è caduto in discesa e ha perso diversi minuti. Si è preso una bella grattata, ma niente di grave nel complesso. Peccato, perché per lui sarebbe stato un ottimo risultato chiudere nei primi 10 della classifica generale, dopo una settimana in cui aveva lottato con corridori di grande spessore».
Quali indicazioni avete tratto dal Tour of the Alps?
«Il bilancio complessivo è stato buono. Oltre a Carboni che è andato forte, alcuni neo-professionisti come Orsini, Covili, Savini e Romano stanno cominciando a prendere confidenza con questi livelli. Wackermann è ancora un po’ sottotono, non ha ancora ingranato quest’anno, mentre Senni ha cominciato la sua stagione al Giro di Sicilia dopo che si era rotto la mano e sta pian piano cercando la condizione. Guardiamo con fiducia ai prossimi appuntamenti, in particolare il Giro d’Italia».
Solo una vittoria finora. Vi aspettavate di avere qualche difficoltà in termini di risultati in questo inizio di stagione, o speravate in qualcosa di meglio?
«Così come le altre Professional, cominciamo sempre la stagione con l’handicap di non sapere dove correremo. Il fatto di avere tanti corridori giovanissimi, poi, rende ancora più complicato riuscire a far bene la preparazione, visto che magari hanno più difficoltà ad organizzare il lavoro a casa. Quelli più esperti, che invece ci riescono, non sono però riusciti ad ottenere grandi risultati. In termini di vittorie, è mancato l’apporto di Guardini, che ha vinto solo una tappa all’Istrian Trophy in Croazia, mentre Wackermann, dopo un buon finale di 2018, non è riuscito a riconfermarsi in questo inizio di 2019. Tutto sommato, però, siamo in linea coi risultati degli ultimi anni, visto che anche in passato non arrivavamo al Giro con un grande bottino di vittorie».
Neanche a chiederlo, la Corsa Rosa sarà il momento clou della vostra stagione?
«Ovviamente sì. Insieme a Tirreno-Adriatico, dove abbiamo vinto la maglia della classifica a punti con Maestri, e Milano-Sanremo, è l’appuntamento chiave dell’anno. Ci andremo con la consueta voglia di metterci in mostra, di centrare le fughe e movimentare la corsa. I ragazzi sanno che per loro è una grande occasione, sia di farsi vedere, ma anche di andare a caccia di un buon risultato. Nei Grandi Giri è infatti più facile che la fuga arrivi al traguardo, rispetto magari ad una corsa di un giorno o una corsa di una settimana».
Squadra già fatta?
«Sì e anche annunciata ufficialmente (correranno Enrico Barbin, Giovanni Carboni, Luca Covili, Mirco Maestri, Umberto Orsini, Lorenzo Rota, Manuel Senni e Paolo Simion, ndr). Avevamo alcuni dubbi sulla salute di alcuni corridori. Il Giro dell’Appennino ci ha sciolto gli ultimi nodi. Purtroppo, l’annullamento del Giro di Croazia ha complicato un po’ le cose, costringendo alcuni ragazzi a fare un carico importante di allenamenti a casa. Le nostre scelte sono state fatte tenendo conto della condizione e le caratteristiche dei corridori, che dovranno essere adatte ad interpretare un Giro come vogliamo noi».
27 Giri d’Italia in ammiraglia. Qual è il ricordo più bello?
«Sicuramente l’ultimo che abbiamo vinto, quello del 2010 con Ivan Basso, ai tempi della Liquigas. Siamo riusciti a capovolgere un Giro complicatosi dopo la famosa tappa di L’Aquila. Nell’ultima settimana, tutti assieme, abbiamo lottato e abbiamo conquistato una Maglia Rosa che dopo due settimane sembrava impossibile. Sono state emozioni intense, che mi sono costate qualche anno di vita (ride, ndr)».
Ha fatto parte di due super potenze del ciclismo italiano, la Fassa Bortolo e la Liquigas. Quante possibilità ci sono di rivedere una squadra italiana a livello WorldTour?
«Penso che manchi la volontà di alcuni sponsor importanti di credere nei progetti. Credo che le risorse economiche ci siano anche in Italia, quello che manca è l’unità di intenti tra le varie parti, i grandi imprenditori, la Federazione Italiana e RCS. In passato abbiamo avuto la fortuna di avere Paolo Fassa e Paolo Zani per la Liquigas che hanno creduto in questo sport, avendo anche delle soddisfazioni dal punto di vista economico. Adesso invece c’è qualcosa che ancora non convince gli imprenditori, anche se non bisogna dimenticare che ci sono diverse squadre che hanno matrice italiana, hanno co-sponsor italiani, oppure hanno base in Italia. I nostri corridori si distribuiscono in queste squadre e qualche bella gara riusciamo ancora a portarla a casa».
Cos’è che secondo lei frena ancora gli investitori?
«Penso sia un insieme di cose. Se si vuole investire è perché si ricerca una visibilità mondiale che questo sport può dare, però diventa fondamentale correre e vincere nelle grandi corse. I rischi in un tale investimento ovviamente ci sono e diventa quindi importante creare un gruppo di lavoro solido, in cui ci si può fidare uno dell’altro. In Italia penso sia questione di tempo prima che si capisca che questo sport può essere redditizio; al momento si vive ancora nella paura che mettere soldi nel ciclismo voglia dire perderli».
Inevitabile una battuta anche sull’ormai molto discussa riforma del 2020. Come state vivendo questa situazione di incertezza in squadra?
«Come già è stato detto, le squadre come la nostra saranno danneggiate. Per gli sponsor diventerà difficile mettere tanti soldi se non si avrà la certezza di poter correre alcune corse di primo piano. Dover sempre aspettare l’ultimo minuto per venire a conoscenza se si è invitati o meno ad una corsa, renderà complicato per le Professional trovare investitori. A tutto ciò si aggiunge il fatto che le squadre WorldTour stanno cominciando a creare delle formazioni Continental, che fanno da vivaio, così i giovani più promettenti vanno lì invece di venire in una Professional. Quest’anno moltissimi giovani italiani si sono accasati nel team satellite di una WorldTour, anche se magari non corrono in corse di prestigio. Con noi invece hanno la possibilità di fare anche dei Grandi Giri e fare il salto nel WorldTour con già 2/3 Giri d’Italia sulle gambe, come successo con Sonny Colbrelli e Giulio Ciccone. L’unica soluzione perché non si perdano le Professional è che gli organizzatori delle corse e le varie federazioni garantiscano un paio di posti, per esempio nei Grandi Giri, a squadre con investitori locali. Se non accadrà, gli sponsor scapperanno e a quel punto tanto varrà tenere la categoria WorldTour e quella Continental».