Due anni fa, con indosso la maglia rosa del Giro d’Italia Under 23, Pavel Sivakov ci raccontava che sognava di correre le grandi corse di tre settimane tra i professionisti. Oggi, che a 21 anni ha rotto il ghiaccio nella massima categoria conquistando la seconda tappa del Tour of the Alps, ha realizzato un altro dei suoi sogni nel cassetto.
«Non ci credo, ancora non mi rendo conto di cosa sono riuscito a fare. Mi piacciono le strade italiane, mi portano bene. La prima vittoria tra i grandi è speciale, sa di ricompensa. La stagione scorsa è stata molto impegnativa, per non subire il salto dalla categoria Under 23 ho dovuto lavorare tanto. Alzare le braccia al cielo è un’iniezione di fiducia enorme. Ora speriamo di continuare così…».
Alla fine della discesa stava tremando dal freddo, ma ha avuto i nervi saldi e la lucidità per mettere in campo una tattica perfetta con il compagno Geoghegan Hart, da cui ha ereditato la maglia di leader della classifica generale. «Il finale è stato molto caotico. In cima alla salita il gruppo era più numeroso rispetto alla fine della discesa. Negli ultimi chilometri ci sono stati tanti attacchi, quando si è mosso Nikita Stalnov dell’Astana ho reagito e quando ci sono venuti dietro un corridore della Bora e un altro della Bahrian ho pensato che poteva essere l’azione buona. Mi sentivo il più forte e non dovevo lavorare perchè Tao era dietro. Ho aspettato e nel finale sono riuscito a battere Hirt. È stato semplicemente spettacolare».
E ancora sulla cronaca della corsa: «Noi avevamo tre carte da giocare: io, Chris e Tao. Majka e Nibali curavano Tao così mi sono mosso io. Abbiamo giocato un po’, oggi è andata bene a me, domani potrebbe accadere l’inverso. Se riprendesse lui la maglia non sarebbe un problema, l’importante è che sia il team Sky a vincere. Domani sarà un’altra bella sfida, dobbiamo sfruttare la superiorità numerica, nonostante sia difficile controllare tappe corte e scoppiettanti come quelle che propone questa corsa».
Papà ciclista, mamma ciclista, Pavel non poteva che finire su una bici. Nato a San Donà di Piave (Venezia) l'11 luglio 1997 quando papà Alexei, pro' dal 1996 al 2005, correva con la Roslotto di Argentin e mamma Aleksandra Koliaseva, iridata '93 e '94 nella cronosquadre, aveva messo un punto alla sua carriera agonistica, si è trasferito subito a Saint-Gaudens, tra i Pirenei francesi.
Il ciclismo per lui è tutto. «Sono cresciuto respirandone i valori in famiglia, in casa si parla sempre di due ruote. Papà e mamma mi danno numerosi consigli. Che dire di me? Sono un ragazzo russo, nato in Italia, che vive in Francia. Un bel mix (sorride, ndr). Il Giro ha un valore speciale per me, anche se ho vissuto in Italia solo il primo anno della mia vita, ho un bellissimo ricordo del Giro U23. Ho ereditato la nazionalità di papà e mamma e corro per la nazionale russa, ma sono cresciuto in Francia. Non ho molti legami con la Russia: non ci sono strade adatte per i ciclisti, tutti i giovani russi devono venire in Europa per coltivare la loro passione, è un peccato. Ho conosciuto Dimitri Konyshev all’Europeo di Plumelec, ci ha dato consigli per la gara. È da ammirare, ha avuto una carriera super. Se arriverò mai ai suoi livelli? Ci spero, ma ho ancora tanta strada da percorrere»
Al prossimo Giro d’Italia sarà al fianco di Bernal. Egan può vincere la maglia rosa a soli 22 anni? «Questa è una domanda difficile a cui rispondere, ma di certo partiamo con quest’obiettivo. Non sarà facile, ma daremo il massimo. Siamo un gruppo giovane, ma abbiamo lavorato insieme a lungo e preso parte già a numerose corse. Sarà di sicuro un’esperienza interessante per tutti noi».
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